Disavventure della stampa satirica

di Marta Sironi
Illustrazione di Anna Ciammitti

Quando Pat Carra mi ha accennato la questione di Bayer contro Aspirina pensavo scherzasse.
Quando poi, con tono molto serio, è entrata nei dettagli, ho capito che non era affatto uno scherzo. Che un colosso come Bayer-Monsanto possa contestare, dopo trent’anni, una rivista satirica femminista appigliandosi a ragioni ridicole è una questione serissima che ricorda le battaglie condotte a suon di matita dalla stampa satirica di ogni tempo.
Mentre ascoltavo la loro vicenda mi si affastellavano in testa immagini e storie relative alla stampa satirica, vicende che avrei voluto sintetizzare, non solo per far sentire le redattrici di Aspirina meno sole e in qualche modo onorate di tanta attenzione, ma anche e soprattutto per aiutare me stessa a capire e a dare una ragione a un fatto che continuava a risultarmi surreale. Anche nel passato molte censure, incarcerazioni, sospensioni di pubblicazioni erano spesso legate a scintille irragionevoli e insensate, mentre magari altre loro battaglie erano passate sotto silenzio.
In Italia la comunicazione visiva moderna nasce sulle barricate del 1848, con il diluvio di giornali conseguente all’abolizione della censura preventiva, presente dopo il Congresso di Vienna (1815) negli Statuti delle monarchie per controllare i moti insurrezionali.
Primo a concedere la Costituzione con relativa libertà di stampa è nel 1848 Ferdinando II di Borbone nel Regno delle Due Sicilie, dove sorge il primo giornale satirico italiano illustrato: L’Arlecchino di Napoli. Nel giro di pochi giorni, man mano che si accendono i focolai rivoluzionari, nascono tante altre testate che costituiscono un’importante rete d’informazione tra i diversi Regni dell’Italia preunitaria: Lo spirito Folletto a Milano, Il Fischietto a Torino, Il Lampione a Firenze e Sior Antonio Rioba a Venezia.
La caricatura era allora considerata una moda straniera cui si aderiva principalmente per il successo di pubblico e l’efficacia politica dimostrata da alcuni dei maggiori fogli europei, come La Silhouette (1829/1831), La Caricature (1830/1843) e Le Charivari (1832/1937) edite da Charles Philipon in Francia, Punch (1841/2002) in Inghilterra e Fliegende Blätter (1845/1944) in Germania. A differenza della tradizione europea che dalla metà dell’Ottocento conta disegnatori specializzati molto seguiti e oggi riconosciuti, in Italia si assiste al proliferare di caricature anonime e quasi nessuno dei disegnatori è oggi identificato. Nonostante questo, la loro moderna dimensione di disegnatori alle dipendenze degli editori li connetteva alla produzione europea attraverso la circolazione quotidiana di matrici incise in Francia e in Inghilterra, e li rendeva artisti molto diversi da quelli formati nelle accademie italiane, che erano interessati soprattutto a coltivare i legami con le antiche scuole pittoriche del paese e raramente a conoscenza delle nuove tendenze dell’arte internazionale.
Nel 1848 esiste un’Europa delle immagini grazie alla libertà di espressione ristabilita con i nuovi Statuti, ma anche per l’assenza di una legislazione internazionale sulla proprietà letteraria e artistica, che favorisce la circolazione di immagini con tutti i mezzi possibili, compresi il plagio e la contraffazione.
In Francia le battaglie disegnate sono iniziate una decina di anni prima, quando l’editore Philipon è condannato a sei mesi di prigione e a una multa di 6.000 franchi per “lesa maestà”: al centro dell’imputazione, l’associazione del volto del re Luigi Filippo a una pera. Per raccogliere i soldi a sostegno della causa, la rivista La Caricature pubblica il disegno che il caricaturista Honoré Daumier aveva schizzato in tribunale per dimostrare, con immancabile ironia, l’estrema differenza tra il ritratto del re e una pera. Le poche righe d’accompagnamento – “Les poires, vendues pour payer les 6000 fr. d’amende du journal Le Charivari” – bastano a provocare il ritiro immediato della testata.
Nonostante le frequenti condanne alle pubblicazioni di Philipon, il successo dell’identificazione delle malefatte reali con la pera, per questo denominata “il primo frutto di Francia”, sarà inarrestabile. Una vignetta che presenta il monumento alla pera con l’iscrizione Expiapoire, collocato in Place de la Concorde nell’esatto punto dove era stato giustiziato Luigi XVI dai rivoluzionari, fu accusata di provocare eccidi, accusa da cui l’editore si difese dichia- rando piuttosto il pericolo “di provocare una marmellata”.
La battaglia politica contro la Monarchia di luglio (1830/1848) condotta da La Caricature è l’emblema storico di cosa e quanto può fare la satira. La rivista chiuderà, ma la lotta contro Luigi Filippo ha lasciato un segno indelebile, utile a molte stagioni successive, una per tutte quella condotta dai fogli illustrati nell’Italia del 1848.
La risposta a incarcerazioni e multe insostenibili era spesso affidata all’unica arma della creatività, come ricorda il fascicolo del maggio 1909 di Assiette au Beurre (1901/1912), la più nota rivista satirica francese della Belle Époque. Il fascicolo è composto da disegni donati dai maggiori autori francesi per aiutare il collega Aristide Delannoy, condannato a un anno di prigione e a una multa di 3000 franchi. Causa della denuncia era stata la copertina del settimanale Les Hommes du jour del maggio 1908, che mostrava il generale dell’esercito francese come un macellaio, con alle spalle la carneficina compiuta in Marocco. Il disegno di copertina di L’Assiette au Beurre riprende la struttura della pagina incriminata: protagonista è un giovane artista, Delannoy, armato di una sola matita che sta pericolosamente appuntando, mentre sullo sfondo vengono arrestati e si danno alla fuga borghesi e potenti terrorizzati.
A distanza di 160 anni, la risposta creativa di Erbacce conferma l’atteggiamento battagliero di Aspirina e collo- ca la rivista acetilsatirica in una consolidata tradizione che si affida alla più acuta arma d’opposizione: la satira, che punge e pungerà sempre.

Vignetta di Honoré Daumier

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