Sul disastro Covid in Lombardia
di Daniele Balicco
Illustrazione di Liv
È difficile capire quello che è davvero successo a Bergamo, e più in generale in Lombardia, in queste ultime settimane. L’immagine che molto probabilmente resterà nella memoria di tutti, è quella della silenziosa lunga fila notturna di camion dell’esercito che la notte del 19 marzo trasportarono più di 60 feretri fuori dalla città, perché gli ospedali e il cimitero centrale erano stracolmi di cadaveri; e bisognava cremarli. Sono stato a Bergamo, l’ultima volta, esattamente un mese prima di questa carovana funebre: il 19 febbraio. Ero tornato per essere fra i 40.000 spettatori di San Siro a vedere l’Atalanta stravincere contro il Valencia; in uno, dunque, degli eventi detonatori del contagio. Ma non mi sono ammalato o, forse, sono uno dei tanti fortunati asintomatici. Da anni, vivo e lavoro a Roma, ma a Bergamo ci torno spesso. Lì vivono i miei parenti e alcuni degli amici più cari. Mio zio Bruno Balicco è stato primario al Reparto di rianimazione del Policlinico San Marco (ora Gruppo San Donato) di Zingonia, a pochi km da Bergamo. Negli anni ’80 fu uno dei primi anestesisti a portare in Lombardia la terapia del dolore per malati terminali; erano anni in cui Comunione e Liberazione non aveva del tutto soffocato il sistema sanitario regionale, e l’accanimento terapeutico non era imposto per decreto divino. Chiedo a lui, dunque, delucidazioni. Da pochi mesi in pensione, è stato richiamato per gestire l’emergenza.
“Sono settimane che sogno solo pazienti e morti”, mi saluta così, estenuato, al telefono. “Al di là di tutte le cose che poi ti dirò”, continua, “bisogna essere chiari: è una pandemia mostruosa. Nell’80% dei casi non fa quasi nulla, nel 20% dà malattie importanti, nel 7% si finisce in terapia intensiva e molti muoiono. In ospedali non enormi, come quelli che ho frequentato, di polmoniti bilaterali ne arrivano 5 o 6 all’anno; in queste ultime settimane, tra le 40 e le 50 al giorno”.
Di fronte a una tale emergenza sono diventati ben visibili errori macroscopici, che hanno ormai una storia di qualche decennio.
Il primo è la regionalizzazione della sanità. In una situazione come questa, ogni regione si coordina con il governo centrale, ma è in fondo libera di fare come vuole. E la Regione Lombardia ha gestito nel peggiore dei modi possibili l’autonomia discrezionale di cui gode. Personaggi come il presidente Fontana e l’assessore Gallera, che ha responsabilità dirette sulla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano e si permette di fare campagna elettorale per la propria candidatura a sindaco di Milano. Ero convinto che l’errore fosse del direttore sanitario che aveva sottovalutato la cosa, invece salta fuori che lui aveva deciso di chiudere e l’assessorato di Gallera gli ha imposto di riaprire, così è diventata una bomba epidemiologica.
Il secondo errore è stata la privatizzazione della sanità pubblica. E la Lombardia, ancora una volta, è la prima della classe di questa eccellenza scellerata. Molti ospedali convenzionati sono stati obbligati, loro malgrado, a buttarsi in prima linea. L’ospedale per cui ho lavorato si è convertito al 100% in Covid-19, come Humanitas, Gavazzeni di Rozzano, il Gruppo San Donato. Gli amministratori delegati di queste aziende, per come li conosco, sono famelici. Il privato convenzionato vive sulla mobilità di pazienti fuori regione, ora scomparsa completamente. In teoria i loro enormi profitti si sono azzerati, dunque… È solo una mia opinione, prendila per quello che vale, ma avranno avuto rassicurazioni dalla Regione. Li vedo molto, molto, molto sereni.
Veniamo all’ultimo errore, che fa sistema con il secondo. L’Italia ma in particolare la Lombardia ha concentrato tutto lo sforzo sanitario sugli ospedali e nulla sul territorio. Le ATS (agenzie per la tutela della salute), istituzioni con un sacco di personale che dovrebbe fare medicina territoriale e che in Lombardia sono in mano alla Lega e Forza Italia, qui a Bergamo non hanno fatto nulla. Nelle nostre valli, i medici sono stati mandati allo sbaraglio. Chi aveva volontà di visitare i pazienti, non aveva i presidi. Alle infermiere delle ATS che fanno assistenza domiciliare integrata (ADI) non è mai stato fatto un tampone. Non è stato predisposto nessun controllo ai famigliari di pazienti risultati positivi al tampone fatto in ospedale e rimandati a casa in quarantena. Le ATS avrebbero dovuto essere la leva fondamentale per gestire la pandemia. In Germania e Francia i medici vanno sul territorio, agiscono, non puoi pensare tutto graviti intorno agli ospedali, sempre. Anche in Emilia Romagna la situazione è diversa. Ho partecipato a un webinar del direttore del reparto Malattie infettive del Sant’Orsola di Bologna, uno dei migliori infettivologi del mondo. Ha creato una struttura di coordinamento fra reparto e medici di base, che monitorano tutti i giorni i propri pazienti e anche i loro famigliari. Se hanno sintomi vengono mandati in ospedale, gli fanno il tampone e gli danno in via precauzionale l’idrossiclorochina.
Da quanto mi stai raccontando risulta ancora più folle il battage propagandistico fatto per l’inaugurazione dell’ospedale in Fiera a Milano.
Guarda, almeno gente come Berlusconi ha finalmente tirato fuori qualche soldo per la collettività. A parte l’inaugurazione con buffet e taglio del nastro con la gente accalcata senza protezione, potrebbe servire a svuotare gli ospedali, ma il problema vero è che manca il personale. In teoria, è sotto la gestione del Policlinico che ha mandato lì un direttore sanitario e alcuni medici; ma i letti sono pochi. È inutile annunciare “metteremo 500 ventilatori!”.. Benissimo! E chi li sa usare? Devi assumere personale, rianimatori e infermieri specializzati, che sono pochi a causa delle politiche universitarie, che hanno portato le scuole di specializzazione a numeri chiusissimi. L’ospedale costruito in Fiera a Bergamo è stato fatto con più decoro. Gli alpini hanno lavorato giorno e notte e in una settimana era pronto. La terapia intensiva è gestita da Emergency. Non è stato fatta nessuna inaugurazione. Il costo è stato sostenuto su base volontaria, mentre a Milano sono state pagate più di 200 aziende per allestirlo. Uno schifo.
In questi giorni si sta parlando della Fase 2. Che idee ti sei fatto?
Questo virus andrà avanti per un sacco di tempo… Credo che tutta l’estate andremo in giro con le mascherine, e speriamo che la popolazione le abbia. Le mascherine con il filtro sono quelle che chiamiamo “egoiste”. Dovremmo usarle solo noi anestesisti o chi fa le broncoscopie perché ci proteggono al 100%, ma tutto quello che buttiamo fuori, va sugli altri. Quindi, se vedi uno in coda con quella mascherina, devi stargli lontano. Le mascherine chirurgiche, invece, hanno una capacità filtrante abbastanza bassa. Coprono bene gli altri, meno te. Certo, se tutti l’avessero andrebbero bene.
In Cina, che è in Fase 2, il virus ha già ricominciato a circolare. Questo creerà enormi problemi economici; mi auguro che cambi questo sistema economico, è un’occasione, un segno. Non sono credente, però va detto che le uniche parole sensate in questi giorni le ho sentite da Papa Francesco: “Pensavate di vivere sani in un mondo malato”. E adesso è arrivata una scoppola.
Per la Fase 2 si parla molto di test sieriologici. Che idea ti sei fatto?
Purtroppo il dibattito scientifico microbiologico sulle infezioni dice che questi test attualmente non sono del tutto affidabili. Per il 30/40 % dei casi sono fallaci. Quindi per ora non rappresentano una soluzione. Dovranno essere molto perfezionati, anche perché non siamo ancora sicuri che gli anticorpi testati siano precisamente quelli da Covid-19. I coronavirus sono tanti e girano da centinaia di anni. Dovremo fare tantissimi tamponi, in Germania ne fanno 500mila a settimana e vogliono arrivare a 500mila al giorno. Speriamo che anche qui attrezzino le ATS per la medicina territoriale.
Una domanda per capire come si lavora in un ospedale Covid. Che succede quando arriva un nuovo paziente?
Il paziente che arriva in pronto soccorso con dei sintomi, ovviamente fa il tampone. Di fatto, è la clinica quella che ti governa, soprattutto la Tac: quelli che arrivano con i sintomi da polmonite bilaterale interstiziale e che quindi vanno incontro alla malattia più grave, e sovente alla morte, passano dal pronto soccorso e poi arrivano in Terapia intensiva, dove però nei primi tempi non c’erano i posti, per cui andavano nei reparti. Il primo passo è verificare la saturazione emoglobinica arteriosa: se è superiore al 93% non è necessario l’ossigeno, i pazienti vengono rimandati a casa con preghiera di tornare se compare dispnea. Se sono positivi al tampone vengono messi in quarantena a casa insieme a famigliari. Il problema è che non mi risulta, per lo meno a Bergamo, che i malati in quarantena siano stati monitorati a casa. Se la saturazione emoglobinica invece è inferiore al 93% i pazienti vengono subito ricoverati in reparto con l’ossigeno. Nel caso poi la dispnea peggiori, si passa alle ventilazioni non invasive che i reparti hanno imparato a fare; parlo del CPAP, cioè il casco che per qualche giorno ti garantisce una sopravvivenza. Molti così guariscono; alcuni invece, poiché aumenta il lavoro respiratorio all’interno di questi caschi, finiscono per essere intubati. Nei primi giorni dovevamo fare spesso una scelta terribile: non c’erano posti per tutti in Terapia intensiva.
Quante persone lavorano per assistere un paziente in terapia intensiva?
Il personale di Terapia intensiva deve essere altamente qualificato. Il rapporto è questo: per 10 posti letti in una condizione normale abbiamo, giorno e notte, due anestesisti e 4/5 infermieri. Se vuoi garantire una cura efficace il rapporto deve essere di 2 a 1. Un medico ogni 5 pazienti, un infermiere ogni 2. Questa misura è saltata in questa fase, i malati erano troppi, a Ponte San Pietro siamo passati da 4 letti a 10 – 11. Abbiamo dovuto prendere il personale delle sale operatorie che però non ha la stessa preparazione degli infermieri intensivisti con anni di esperienza; ma comunque sanno usare i ventilatori e ci si è arrangiati, bene o male. La mortalità nelle Terapie intensive è stata nella media di quelle europee. Invece sono morte tantissime persone nei reparti, proprio perché mancavano i posti in Terapia intensiva.
La situazione ora sta migliorando?
Decisamente. Adesso in pronto soccorso a Bergamo arrivano 2/3 persone al giorno, invece che 40/50. In tutta la Lombardia la situazione è migliorata, ma l’epidemia si è spostata sul milanese, anche se non in modo così aggressivo come nel bergamasco e nel cremonese. E per fortuna al sud la pandemia non ha sfondato.