Riceviamo e pubblichiamo una lettera che racconta il rimpallo di responsabilità sulla costruzione del Museo della Resistenza a Milano. Un incredibile gioco delle parti da leggere fino in fondo, per capire dove abita la Resistenza e con chi. Per noi erbacce è nelle mani di chi resiste alla cementificazione e alla speculazione immobiliare. (NdR)
Lettera aperta a Comune di Milano, Istituto Nazionale Ferruccio Parri, ANPI, Ministero della Cultura
di Comitato Baiamonti Verde Comune
Milano, 9 gennaio 2024
Museo Nazionale della Resistenza: ognuno si assuma le sue responsabilità per l’area verde devastata in piazzale Baiamonti
Il 10 ottobre 2023, quando gli alberi “interferenti” con il cantiere per la costruzione del Museo nazionale della Resistenza sono caduti sotto le motoseghe, avrebbe potuto segnare la fine della battaglia pluriennale del Comitato Baiamonti Verde Comune contro il consumo di suolo e per la conservazione a verde dell’area urbana rinaturalizzata in piazzale Baiamonti, a Milano. Ma così non è stato, noi non ci sentiamo sconfitti. Le motivazioni che ci hanno guidati restano salde, confortate dall’insofferenza sempre più diffusa nella nostra città per l’imperversare di politiche urbanistiche speculative, inique, distruttive.
È arrivato il momento che ognuno si assuma le proprie responsabilità per quanto è accaduto.
Noi consideriamo tutti i soggetti firmatari o investiti di responsabilità dal protocollo d’intesa del 20 ottobre 2020 corresponsabili dello scempio di un glicine storico e monumentale, amato dai cittadini milanesi; della distruzione di un ecosistema che operava in simbiosi con il Giardino comunitario Lea Garofalo; della morte violenta delle sue alberature, oltre che della violazione dell’art. 9 della nostra Costituzione: la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.
Non solo consideriamo responsabile il Ministero della Cultura, come sostiene l’assessora al Verde Elena Grandi nella risposta che ha indirizzato ai cittadini che le hanno chiesto conto del suo operato, ma il Comune stesso, che con il programma integrato di intervento in Porta Volta ha determinato l’indirizzo di sviluppo dell’area Baiamonti. E che non riuscendo a vendere un terreno pubblico destinato all’alienazione, ha forzato con fondi ministeriali, dentro un progetto architettonico vincolato, costoso e totalmente inadatto, un museo espressione di ideali che non ammettono la rovina di un’area verde. A nulla sono valse, a suo tempo, proposte alternative per ospitare il museo in palazzi storici o in aree dismesse.
E non ultimo consideriamo responsabile l’Istituto Parri, capofila di un’autorevole rete di istituti storici, che continua a definirsi semplice “consulente scientifico”, ma è decisore nel progetto, tanto quanto Comune e Ministero, nella sua veste di futuro fruitore di un intero piano del museo per la conservazione delle sue raccolte archivistiche. Gli alberi abbattuti, per la precisione, “interferivano” proprio con una parte del suo archivio sotterraneo.
Il ministro Gennaro Sangiuliano ha messo inequivocabilmente le cose al loro posto quando a settembre, in un incontro con la stampa a Milano, alla presenza del sindaco Giuseppe Sala, ha avanzato la proposta di dare natura giuridica al museo con la creazione di una Fondazione partecipata da Ministero, Comune e Istituto Nazionale Ferruccio Parri.
L’assenza dai tavoli decisionali e dagli accordi progettuali per non esservi stati coinvolti non assolve neppure l’ANPI dal condividere le responsabilità per la devastazione dell’area verde di Baiamonti. Il presidente nazionale Gianfranco Pagliarulo è intervenuto un’unica volta, dopo che sono state raccolte oltre 50 mila firme di cittadini, per dichiarare che “mai come oggi, moderno antifascismo e difesa dell’ambiente devono andare a braccetto”, salvo poi rimettersi completamente nelle mani del sindaco, disinteressandosi degli sviluppi successivi alle promesse disattese. Il presidente del Comitato provinciale di Milano, Roberto Cenati, si è spinto oltre, rispondendo nel maggio scorso in una videointervista a un giornalista che gli chiedeva se sarebbe stato favorevole a un cambio di luogo per rispettare il glicine e l’area verde: “Io sono per la decisione che è stata assunta dall’amministrazione comunale. Quindi siamo contenti che finalmente si realizzi dopo ottant’anni un museo nazionale della Resistenza nel luogo prescelto”. Un’affermazione di per sé gravissima, tanto più in quanto impegna tutti gli iscritti all’associazione, che non sono mai stati doverosamente informati del progetto del museo e di tutte le sue implicazioni, e che non hanno potuto esprimere un giudizio su una questione che li riguarda anche come cittadini. (Precisiamo che al Comitato aderiscono anche iscritti ANPI).
Lo scempio si poteva evitare? Noi riteniamo che l’Istituto Parri avesse più carte da giocare di qualunque altro attore in campo per scongiurare l’irreparabile.
Era in possesso fin dall’inizio delle planimetrie e dei piani di intervento urbanistico. Lo lasciamo dire all’assessora Grandi: “Il progetto approvato prevedeva l’abbattimento di tutte le alberature presenti, nessuna esclusa: dei quattro tigli, del bagolaro, del glicine madre e del glicine figlio, del liquidambar e del nespolo. Questo perché le alberature interferivano con il piano di costruzione del museo, con quello della realizzazione della futura area verde e con il funzionamento delle aree di cantiere”. In questa prima fase, il Comune e il Ministero non avrebbero potuto ignorare obiezioni motivate di un soggetto tanto importante come il Parri senza la cui consulenza sarebbe stato impossibile riempire di contenuti la piramidina di Herzog & De Meuron. Bastava che esercitasse il suo sacrosanto diritto all’obiezione di coscienza richiamandosi all’art. 9 della Costituzione.
Un’altra occasione si è presentata con la raccolta firme dei cittadini e la presa di posizione del presidente nazionale dell’ANPI. Una dichiarazione pubblica dell’Istituto Parri a sostegno delle legittime preoccupazioni dei cittadini, oppure in appoggio al comunicato stampa del presidente Pagliarulo, non poteva passare sotto silenzio. La modifica al progetto sarebbe stata inevitabile, non certo le vaghe promesse a cui abbiamo invece assistito.
L’ultima occasione mancata per tutti è stato il nubifragio del 25 luglio 2023 al quale hanno coraggiosamente resistito i tigli destinati all’abbattimento. Di fronte a un’emergenza ambientale di quella portata, con oltre 5 mila alberi caduti, il taglio di lì a poco di esemplari d’alto fusto, sani e resilienti, può configurarsi solo come un crimine ambientale. La legge attualmente non lo sanziona, ma resta un atto di profonda inciviltà.
Se è vero, come diceva la direttrice Sara Zanisi in una trasmissione radiofonica a ottant’anni dall’armistizio, che gli storici hanno “un ruolo civile”, nella vicenda del museo dobbiamo con dispiacere constatare che l’Istituto Parri non l’ha svolto.
Da abitanti della città di Milano abbiamo assistito infinite volte alla distruzione di aree verdi ed ecosistemi per interessi speculativi, mai per conservare e tramandare gli ideali e i principi democratici nati dalla lotta di liberazione come avverrà con il Museo nazionale della Resistenza. È una novità raggelante, resa incomprensibilmente possibile dalla consulenza scientifica dell’Istituto Parri e dalla rinuncia dell’ANPI a far valere le sue ragioni fondative. Oggi possiamo minimizzare, volgere lo sguardo altrove, ma il tempo è già lì a mostrarci le ferite, per chi le vuole vedere. L’Istituto Parri e l’ANPI non sono già più quelli che abbiamo conosciuto.
Terminiamo questa lettera con il post di un cittadino nella nostra pagina Instagram:
“Sono proprio gli alberi che hanno ‘custodito’ i partigiani nei boschi di tutto il territorio. Senza di loro non ci sarebbe stato rifugio per chi si è opposto con la vita alla dittatura fascista/nazista e questa occasione sarebbe stata ideale per inaugurare un nuovo modello di ‘museo’ con più contenuti e meno cemento/trame di finanza e potere. Una grande occasione sprecata nella quale si sarebbero potute attivare alternative concrete e anticipatorie di un ‘sentimento’ ecologico (anche di pensiero) diffuso”.
Con profonda tristezza, anche pensando ai nostri numerosi tentativi di interlocuzione rimasti sostanzialmente senza esito, ma senza per questo cedere di un passo nella nostra giusta battaglia, inviamo cordiali saluti.
Contatto email: baiamonti_verde_comune_2024@yahoo.co
Scarica il comunicato integrale qui
Foto di Roberto Lepetit
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