Aspettando Margot

di Margherita Giacobino
Illustrazioni di Isia Osuchowska

 

Si erano incontrati a Rotterdam, dove entrambi avevano un film, lui regista lei attrice. Lui regista alternativo, conosciuto e ammirato da un ristretto pubblico di intenditori, un apripista che cammina fuori dalle strade maestre. Lei attrice notissima che calca spesso il tappeto rosso di Venezia e di Cannes. Il film di cui lei era protagonista era nella serata d’apertura, e lui non l’aveva visto perché era in ritardo, a causa di un guasto al furgone e di una mappa male interpretata che l’aveva portato fuori strada per buona parte della giornata. Era arrivato in tempo per vederla uscire, ed era rimasto a fissarla folgorato, le mani giunte, come gli fosse apparsa la madonna.
Datti un contegno, Biagio, gli aveva sibilato sua moglie Marzia. Ti guardano!
Magari mi guardasse lei!, aveva risposto Biagio sempre in atteggiamento di preghiera.
Quando, due sere dopo, aveva visto risplendere nella sala in cui si proiettava il suo film la capigliatura rossofiamma di Margot Bellerive, gli era parso di sognare. Si agitava sulla poltrona, si voltava a sbirciare, comunicando la sua inquietudine al suo entourage, undici persone in tutto, moglie figli nipoti cameraman tecnico del suono e un vicino di casa del paese, che non c’entrava niente ma era depresso perché aveva perso la mamma da poco e non s’erano sentiti di lasciarlo lì da solo, stringendosi un po’ il posto sul furgone c’era.
Che dici, vado a salutarla? devo dirglielo, che l’adoro! è una delle poche attrici famose con cui vorrei lavorare, anzi è l’unica, è straordinaria, è particolare, e poi vedi, è venuta a vedere il mio film…
Smettila, stai seduto composto e aspetta la fine, non puoi alzarti adesso che disturbi! gli diceva Marzia.
Ma quando si erano accese le luci era stata lei, Margot Bellerive in persona, jeans, stivaletti e capelli fiammeggianti, ad avvicinarsi e stringergli la mano.
Biagio era ingenuo, imbranato, perfino infantile (secondo sua moglie), ma non certo timido. Sapeva quello che voleva. E glielo disse entro i primi sessanta secondi. Ho sempre sognato di fare un film con lei, le disse. Insieme a molte altre cose, in un francese misto di inglese misto di italiano che Margot capì perfettamente perché parlava tutte e tre le lingue.
Pochi anni li separavano, lei su un lato della cinquantina lui sull’altro, ma sembravano molti di più. Lei bella, angolosa, adolescenziale, ventre piatto e zigomi alti, passo scattante, giacchetta appesa al dito. Occhi verdi come sullo schermo, no, di più. Lui brutto, quasi calvo, naso grosso, dentatura irregolare, pancetta che faceva tirare la camicia a scacchi, scarponcini infangati (si era accorto all’ultimo di aver dimenticato a casa la borsa con il completo buono per la soirée – lui credeva che l’avesse presa Marzia, Marzia sapeva per certo di averla affidata a lui.)
Quella sera Biagio si innamorò. Gli capitava abbastanza spesso, in tutti i sensi possibili (questo era motivo di frequenti discussioni tra Marzia e lui), ma innamorarsi di Margot Bellerive era diverso, lei era speciale, era sublime, era il Cinema. E non si va a letto con il Cinema, no, stavolta Marzia poteva stare tranquilla, il Cinema è la seduzione perenne, è sogno, ispirazione, ideale…
Stabilirono di vedersi a Parigi la primavera successiva, quando l’occupatissima Margot avrebbe avuto una pausa di qualche giorno tra un film e l’altro.
Quella notte Biagio non dormì. Si alzava, passeggiava su e giù per la stanza d’albergo scrivendo e riscrivendo mentalmente la sceneggiatura del film. Finché i due nipoti contrabbandati in camera (non potevano certo permettersi di pagare sei doppie a prezzi olandesi) non si lamentarono e Marzia non gli intimò di mettersi a letto. Disteso, rimase a fissare il soffitto su cui Margot indossava i panni di un suo personaggio, un’eroina tragica, una ribelle, una strega, un’avventuriera, una santa, una maga…

 


Naturalmente, nel frattempo, girava. Come sempre. Camminando per strada, facendo la spesa, nella sala d’aspetto del dottore, nelle case degli amici – il cinema, per Biagio, era dappertutto.
Le scriveva lunghe mail: Perché quello che tu sai esprimere con uno sguardo è incredibile, io vorrei che tu fossi semplicemente te stessa, tu sei tante donne, voglio cercare di raccontare qualcuna delle tante meravigliose donne che tu sei.
A cui lei rispondeva con brevi frasi precise, a volte crudeli: Sceneggiatura interessante, ma mancano connessioni. Impossibile in aprile, desolée. Fine maggio?
Alla fine di maggio partirono per la Normandia, dove lei li aspettava in una casa sul mare. Si sistemarono nella suite degli ospiti – erano soltanto in sei – e Biagio passò tre giornate di intensa e atletica gioia a filmare i cavalloni che gli spruzzavano l’obiettivo e i surfisti che li sfidavano, intanto che lei si curava il mal di gola che si era presa sul set di un altro film. Il quarto giorno Margot, guarita, ricevette una telefonata dall’aiuto regista di un grande nome di Hollywood: doveva andare a Londra, subito. Partì nel pomeriggio. In tutto avevano trascorso insieme quaranta minuti, e Biagio era riuscito a filmarla sul terrazzo, mentre prendeva il caffè (senza zucchero) e leggeva con grande concentrazione l’ultima versione della sua sceneggiatura. Alle sue spalle il mare ruggiva e il vento modellava le dune sul litorale. Sentì che poteva usare quella scena in mille modi, e cominciò a costruirci intorno una parte del film.
Certo, quegli altri sono più importanti di te, commentò Marzia mentre si mettevano sulla strada del ritorno.
Per forza, nel grande cinema è tutta questione di soldi, contratti, budget, agenti, assicurazioni, penali, mi viene mal di testa solo a pensarci, disse Biagio, che non si era offeso per niente. Guardate! Esclamò poi mentre attraversavano un paese, c’è il mercato dei contadini! Andiamo a vederlo, che ne dite?
Nel mercato, che era molto interessante, comprarono formaggi tipici e si fermarono a mangiare crêpes col burro salato e bere vino rosato. Marzia si invaghì di una bella brocca di coccio e se la comprò, dopo averci pensato e ripensato perché era un po’ cara. Di colpo si mise a piovere e dovettero rifugiarsi in fretta e furia sul furgone, dove il rosé fece il suo effetto e si addormentarono. Quando si svegliarono il sole era riapparso e tramontava rosseggiando in fondo all’immensa distesa di sabbia. L’aria era fresca come il primo giorno della creazione, e sapeva di sale. Sarebbe stato un vero peccato ripartire subito. Quella notte Biagio e Marzia dormirono nel modesto albergo del paese, mentre il cameramen-autista e gli altri montarono una tenda in spiaggia. Biagio si svegliò all’alba e cominciò a pestare sui tasti del suo portatile, voleva registrare tutto, ricordare ogni dettaglio, la temperatura, chi passava in piazza, il colore cangiante del mare, i sogni della notte. L’aria dell’oceano gli aveva messo appetito, e non appena il baretto in piazza aprì i battenti si mangiò tre croissant con quel burro squisito e la marmellata di ciliegie.
Stiamo facendo un viaggio meraviglioso! disse poi al telefono alla figlia minore, che era rimasta a casa.
Peccato che non è servito a niente, commentò Marzia.
Ma come? le disse Biagio, abbiamo ore di girato, l’oceano, le onde, e alla figlia: avresti dovuto vedere che onde!

Per me il cinema è visione, è quello che vedo attorno a me, scriveva a Margot. Io non invento storie, forse non sono capace, forse non mi interessa, ma ce ne sono tante attorno a me, di storie, io le raccolgo… quando ti guardo, quando penso a te, io vedo le storie che voglio mettere nel nostro film, quando finalmente potremo girarlo…
Margot alternava lunghi silenzi a risposte che lo accendevano di passione: Com’è rinfrescante, mon ami, il tuo progetto – il nostro progetto! L’anno prossimo sarà il nostro anno!
L’anno dopo una figlia di Marzia e Biagio se ne andò in Nuova Zelanda, dove l’anno seguente si fidanzò e quello ancora successivo si sposò. Il matrimonio fu l’occasione di un avventuroso viaggio agli antipodi che prosciugò i risparmi familiari e fornì materiale per due corti e un lungo. Ubriaco di verde e di orizzonti sterminati, Biagio quasi dimenticò Margot e si dedicò al montaggio di un film che chiamò Animali terrestri, in cui figuravano pecore e pinguini neozelandesi, il cane Zorba raccattato in un’isola greca, i molti gatti di casa e Lucinda, la capra del vicino scapolo e orfano, che aveva trovato in quella creatura saltellante una cura per la sua depressione.

Margot, come sempre, lavorava instancabilmente. Uscì un suo film in cui era una dark lady mangiatrice di uomini e ispiratrice di delitti, e un altro dove recitava nei panni di una masochista che si faceva vittima consenziente del suo violentatore. In un terzo film, di impronta più intellettuale, era un’insegnante di lettere seria e riservata che intratteneva un delicato rapporto platonico con un allievo.
Ma ti rendi conto? disse Biagio asciugando i piatti. Alla sua età fa ancora i film d’amore, è così bella, così giovane che tutti si innamorano di lei!
Avrà fatto un patto con il diavolo, commentò Marzia dal lavello. O con il truccatore. E comunque i film sono uno più brutto dell’altro! Ruoli stereotipati, noiosi, fantasie maschili, roba vecchia.
Tu dici? io non li ho visti i film, ho visto solo lei… Del resto, è un destino delle grandi attrici, guarda la Garbo, non ha fatto nessun grande film, era già grande lei…
E mi sa che non lo farà neanche con te un grande film, disse Marzia togliendosi il grembiule. Voglio dire, aggiunse davanti alla sua faccia accasciata, se aspetta ancora un po’ tu sarai morto di vecchiaia. E io anche.
Ma non sono così vecchio! E neanche tu…
Il giorno dopo arrivò un messaggio di Margot. Era a Barcellona, tra un film e l’altro da girarsi in Spagna, e aveva due settimane libere.
Andarono in treno, e durante il viaggio conobbero due giovani teatranti di strada, Camilla e Orlando, e fu amore a prima vista. Biagio filmò una scena improvvisata che coinvolgeva tutti loro e alcuni altri passeggeri del TGV, con grande preoccupazione di Marzia che temeva di prendere la multa. Arrivò il controllore, ma Marzia lo distrasse inventandosi una storia di borsetta smarrita nella toilette, e lui non si accorse di niente.
A Barcellona Biagio non fu troppo deluso quando il segretario di Margot lo informò che c’era stato un problema sul set del film di madame Bellerive e quindi lei sarebbe stata impegnata ancora per diversi giorni. Si accamparono in un grande appartamento spoglio insieme ai due teatranti e ad alcuni giovani amici, ed esplorarono la città con loro, filmando quasi tutto e tutti quelli in cui si imbattevano. Biagio flirtò apertamente e, almeno così sperava, innocentemente con Camilla e anche con Orlando, ma una notte il flirt a tre si spinse oltre, per fortuna mentre gli altri dormivano già.
La mattina dopo – Biagio era stranito e colpevole e aveva un po’ di emicrania – Margot lo convocò nel suo albergo.
Si videro in una spaziosa suite ingombra di valigie, abiti e mazzi di fiori. Attorno a lei ronzavano affaccendati i suoi uomini – marito, segretario, agente, tutti e tre lustri e agili come gatti – che suscitavano in Biagio sentimenti contrastanti: ammirazione, diffidenza, gelosia. Si stavano dando da fare per il suo film, lo sapeva, i film veri hanno bisogno di produttori, di denaro, di organizzazione, ma avrebbe voluto farli scomparire, camminare con Margot per i vicoli della città vecchia, percorrere al suo fianco le navate della Sagrada Familia. Presentarle Camilla e Orlando, che il giorno dopo partivano per l’Andalusia.
Furono giorni confusi e deludenti, fitti di telefonate e discussioni, tutto venne di nuovo rimandato e l’efficienza di Margot e dei suoi fedeli ebbe su di lui un effetto deprimente. Sul treno del ritorno si lamentò con Marzia: Hai ragione tu, non lo faremo mai questo film. E io che ci speravo tanto, era un sogno che si realizza, avevo perfino pensato al successo, andare nelle grandi sale, a Venezia… che cretino!
Cretino un corno! Ribattè la moglie. Non essere impaziente, lo sai che nel cinema, nel cinema vero, ci sono tempi lunghissimi, datti una calmata. Non mi hai ancora detto se ti piace il vestito che mi sono comprata a Girona, non lo trovi delizioso questo blu?
La sceneggiatura si allungava, diventava il testamento della sua vita di regista. Aveva deciso che Margot sarebbe stata una madre, e precisamente la sua, del resto ormai aveva già recitato diverse volte nel ruolo di madre, e non era meno affascinante per questo, anzi le giovani attrici che facevano le figlie accanto a lei scomparivano. Esitava però a mandarle quest’ultima versione, per timore che Margot si ritenesse sminuita a mettersi nei panni di una donna semplice com’era stata la madre di Biagio, anche se per la parte del figlio aveva in mente un giovane attore bellissimo e promettente.

 

Intanto Biagio era andato in pensione, e finalmente libero dall’impiego di bibliotecario comunale part time poté dedicarsi a un progetto che aveva in mente da decenni, mettere in scena Shakespeare con i “suoi” attori, uomini e donne del paese che ormai, grazie a lui, erano diventati veterani del cinema d’autore.
Mentre stava allestendo una versione di Re Lear in un’ala del castello medievale del paese, messo generosamente a disposizione dall’ente turismo, Margot lo chiamò in Skype e gli disse che era entusiasta di essere sua madre nel film, che molto probabilmente avevano trovato un produttore e che avrebbero potuto cominciare a girare a metà del mese seguente, a Parigi.
Oddio, disse Biagio, ma è proprio quando avrò il castello! E quando devono nascere i capretti!
La capra Lucinda infatti era incinta, e Biagio era ansioso di filmare il parto, che doveva rappresentare un momento significativo della drammaturgia.
Non è il caso di agitarsi tanto, disse Marzia, che stava cucendo il costume di Cordelia, tutte le altre volte lei non poteva, stavolta non sarà un dramma se sei tu che non puoi. Ci sarà un’altra occasione. La vita non finisce domani.
Biagio era diviso. Tra diversi amori, i suoi attori e Margot, tra diverse idee di cinema, quello vero per lui e quello vero per gli altri.
Mentre si dedicava a Lear – era passata da poco la stagione della vendemmia, e il venerabile vecchio pazzo camminava a piedi nudi nei vigneti, tra gli sparsi acini neri e le foglie rosseggianti – gli appariva lei, Margot, che recitava tutte le parti del dramma, lo incantava e gli faceva perdere il filo. Ripeteva le scene, sempre con l’impressione che gli sfuggisse qualcosa di essenziale. Vedeva Margot che attingeva l’acqua al pozzo del castello, che saliva i gradini dello scalone dilapidato sollevando con due dita la sottana e si voltava a guardarlo – ma non era Margot, era Cordelia, o meglio Giorgia, la giovane attrice figlia della panettiera, che gli sorrideva sempre in modo speciale…
Cordelia, cioè no Giorgia, lo sai che tu somigli a Margot Bellerive? La conosci vero? Margot Bellerive, avrai certamente visto qualche suo film, lei è meravigliosa, c’è qualcosa in te, non so, saranno gli occhi, o forse sono i capelli che in pieno sole mandano riflessi rossi proprio come i suoi, ecco quando ridi e mi guardi in quel modo sbarazzino mi ricordi tanto lei… cosa c’è? Ti faccio ridere, forse è la parola sbarazzino che ti diverte, è una parola vecchia, non si usa più… dovrei dire mi guardi in quel modo malizioso?
Flirtando con Giorgia non si sentiva in colpa, perché con lei tutto era davvero innocente (e non poteva essere diversamente, visto che sua madre la panettiera e mezzo paese erano presenti sul set).
Di notte sognava Cordelia-Giorgia-Margot e sua madre da giovane, e si svegliava confuso e affascinato, senza sapere quale storia, quale donna, quale se stesso avesse inseguito e inventato durante la notte.
Con Margot, la vera Margot, era tenero, preoccupato e non finiva di scusarsi. La chiamava quasi tutte le sere dalla cucina di casa piena di voci e di gente – e di fumo, perché il camino tirava male – e le diceva come vorrei che tu fossi qui! Ti penso talmente che è come se tu ci fossi! Tutti ti salutano! Ma devi proprio partire? Fra pochi giorni sarò libero, aspettami! implorava. I capretti stanno per nascere!
Quando nacquero – erano due femmine – propose di chiamarle Regan e Goneril, ma venne bocciato perché erano i nomi di personaggi cattivi, e per di più impronunciabili. Furono chiamate Milva e Dalidà, come gli idoli d’infanzia del loro padrone. A tenere a battesimo le due creature tremolanti fu Cordelia, e Biagio inserì la scena nel film. Ci stava benissimo, non toglieva nulla a Shakespeare, anzi lo arricchiva.
Fu un’esperienza bellissima. Neanche quando ho partorito i tuoi figli ti sei emozionato così, gli fece notare Marzia. Più invecchi più diventi sentimentale.
Mi dispiace di non essere potuto venire, scrisse a Margot il giorno dopo. Ma tu lo sai, vero? com’è il cinema, non ha pietà, quando una cosa chiede di essere fatta deve essere fatta, il cinema ha i suoi ritmi, il suo respiro, e tu lo sai meglio di me perché è anche la tua vita, come è la mia, e questa passione che ci unisce e ci separa non potrà fare a meno di unirci davvero, un giorno o l’altro, io ho fiducia, anzi ne sono sicuro.
Dopo che ebbe scritto questa frase la rilesse e si commosse, disse a se stesso che era vero, ci credeva, non poteva non essere vero perché gli era venuto dal cuore, o da quel luogo strano interiore da dove vengono i sogni.

Margot Bellerive era sulla copertina di una prestigiosa rivista. Sembrava immutata da quando l’aveva vista la prima volta, anche se in realtà aveva qualche piccola ruga in più. Era radiosa. Lo sguardo – duro e verde come smeraldo – era lo stesso.
Guarda com’è bella Margot. E pensare che… sospirò Biagio.
Cosa? chiese Marzia, che stava tirando fuori il bucato dalla lavatrice.
Ci ho provato, ci abbiamo provato ma… non è servito a niente, disse lui sfregandosi un noioso doloretto alla schiena. La casa era poco riscaldata, come ogni inverno, per risparmiare.
Ma cosa dici? Lo sgridò Marzia. Abbiamo fatto dei bellissimi incontri, e i viaggi, dove li metti i viaggi? Quella volta a Barcellona, con quei due così simpatici, come si chiamavano? I due teatranti, te li ricordi? Non stare lì a far niente, passami le mollette. E anche la Normandia, con quei cieli, quelle onde, e tutte le scene dei surfisti che hai messo in Pellegrinaggi… Scusa, ma è proprio in Normandia che ho comprato quella bella brocca! Non essere disfattista. E poi lei ti ha scritto la settimana scorsa, giusto? E ti ha detto che forse è la volta buona che hanno trovato un produttore!
Hai ragione, disse lui umilmente, non ci pensavo più. Cosa farei senza di te?

Le pagine di Erbacce contrassegnate da copyright sono protette e non riproducibili in nessun modo. Tutte le altre immagini e i testi di Erbacce sono rilasciati con licenza
Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported License
Licenza Creative Commons