di Robin Morgan
Vignette di Liza Donnelly
Traduzione di Margherita Giacobino
“Liberate il Michigan!” ha twittato Trump, mentre denunciava la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, e lo ha anche postato su Facebook.
Ora l’FBI del Michigan ha accusato 13 uomini, membri di milizie armate, di aver cospirato per rovesciare il governo con la violenza e iniziare una guerra civile, di aver condotto addestramenti con armi da fuoco, testato esplosivi, fatto esercitazioni militari e progettato di rapire – e processare per tradimento – la governatrice Whitmer, presumibilmente perché controllava la riapertura delle palestre a causa della diffusione del coronavirus. La governatrice ha dichiarato: “Proprio la settimana scorsa il Presidente degli Stati Uniti davanti al popolo americano si è rifiutato di condannare i suprematisti bianchi e i gruppi di odio come questi miliziani del Michigan. Quando i nostri leader parlano, le loro parole hanno un peso“.
Anche se Facebook e Twitter non sono direttamente da biasimare per questo, sono stati dei superdiffusori del virus che c’è dietro, come sicuramente Trump è diventato un superdiffusore di COVID-19 – e il grido di battaglia “Liberate il Michigan!” è ancora su Facebook. Lo so. Ho appena controllato.
L’FBI (nazionale) ha dichiarato che l’estremismo di destra, il suprematismo bianco e il loro violento terrorismo interno sono le più gravi minacce alla sicurezza nazionale che gli Stati Uniti affrontano oggi. Non è un segreto che la destra ha la preponderanza su Facebook, dove ha creato uno tsunami di commenti virali che soffoca l’opposizione liberale e persino i media mainstream, dando vita a un universo mediatico parallelo con cui gli utenti progressisti di Facebook non vengono mai in contatto, ma che è altamente efficace. La ragione per cui i contenuti di destra hanno successo su Facebook non è un mistero. “La piattaforma è stata progettata per amplificare i post ad alta carica emotiva, e i commentatori conservatori più popolari sono abili nel trasformare le lamentele e le invettive in alimento per algoritmi”, ha scritto Kevin Roose sul New York Times. Facebook piega volentieri le sue regole a favore dei conservatori popolari: i suoi dirigenti hanno eliminato gli “strike” dalle pagine conservatrici di alto profilo che condividevano informazioni virali errate, e hanno regolarmente fatto eccezioni per i post di Trump, anche quando violavano le regole di Facebook.
Ci sono voluti tre anni perché Facebook bandisse finalmente Q-Anon, e nel frattempo la teoria della cospirazione è diventata globale. Q-Anon è molto popolare nella destra politica, oltre 70 candidati repubblicani ne abbracciano alcuni elementi e una di loro, Marjorie Taylor Greene, ha praticamente la garanzia di vincere un seggio al Congresso a novembre. Q-Anon ha giocato un ruolo chiave nella diffusione della disinformazione, dal Pizzagate all’incitamento alla violenza contro i manifestanti pacifici a Kenosha, dal Covid 19 e relativi vaccini ai presunti pericoli della tecnologia cellulare 5G. In agosto Facebook ha intrapreso un’azione limitata per frenare Q-Anon (con l’approccio “Oh, gli appelli diretti alla violenza sono cattivi”) ma non si è spinto oltre nel frenare messaggi che usano il potere di amplificazione delle piattaforme mainstream per raggiungere molte più persone. Stiamo parlando di un “movimento” che teorizza la cospirazione che è proliferato a partire dal 2017 con post anonimi che deliravano di funzionari democratici e celebrità di Hollywood che avrebbero stuprato e mangiato bambini e indicavano in Trump l’unico che poteva salvarci da questo male.
L’enorme portata di Facebook ci impone di capire il fenomeno. Nel 2019 negli Usa il 70 per cento degli adulti ha usato Facebook, che è la principale fonte di informazione per il 43 per cento della popolazione (Pew Research Center), e con la pandemia queste cifre sono aumentate.
Non basta: dieci anni fa, le cinque maggiori aziende mondiali quotate sul mercato erano Exxon Mobile, General Electric, Citigroup, Shell Oil e Microsoft. Oggi, solo Microsoft rimane tra le prime cinque, dove è stata affiancata da Apple, Amazon, Facebook e Alphabet (la holding di cui fa parte Google). Tutte aziende tecnologiche, ognuna delle quali domina il proprio settore. Google ha una quota di mercato di ben l’88 per cento nella pubblicità legata ai motori di ricerca.
Il 6 ottobre, Facebook, bontà sua, si è finalmente deciso a imporre nuove sanzioni a Q-Anon, rimuovendo i gruppi e le pagine affiliate anche se non incitano alla violenza o all’odio. Ora Facebook annuncia che agirà contro i post che dissuadono la gente dal votare. Ma davvero? Adesso? Stanno anche “esaminando la possibilità” di rimuovere i post che suggeriscono alle persone di andare ai seggi armati e con intenti intimidatori – ma non retroattivamente, oh no. Guy Rosen, che sfoggia la ridicola mansione di Vice Presidente per l’Integrità di Facebook, fa il sostenuto: “Riteniamo di aver fatto più di qualsiasi altra azienda”. Mark Zuckerberg si lamenta che la somma di denaro spesa per “rendere sicuro” Facebook ha superato l’intero fatturato del 2012, il suo primo anno come azienda quotata in borsa, circa 5,1 miliardi di dollari. Oh Mark, mi sanguina il cuore.
Dietro a tutto questo c’è la fanatica convinzione di Zuckerberg nel sostenere la “parola senza vincoli”. Libertario fino al midollo, ha brandito la “libertà di parola” per difendere la falsità, la disinformazione e le menzogne, ignorando convenientemente il fatto che il Primo Emendamento ci protegge dall’interferenza dello stato nel nostro discorso politico, ma non riguarda, per esempio, il discorso sulla pornografia violenta, l’azione politica violenta o altri tipi di propaganda violenta, dietro i quali ci sono imprese private. La Silicon Valley ha ribadito il suo rifiuto di porsi come “arbitra della verità”, anche quando la disinformazione dilaga sulle sue piattaforme con conseguenze pericolose. Le grandi aziende dei social media mainstream hanno permesso il diffondersi delle teorie cospirazioniste anche perché hanno voluto considerarlo un autentico discorso politico, in un momento in cui Trump e altri repubblicani le stavano attaccando per presunti pregiudizi anti-conservatori. Si lamentano anche che i messaggi lanciati dalla destra cambiano rapidamente e le reti di sostenitori si creano un pubblico con un messaggio e poi svoltano su un altro. Accidenti, si lamentano, non si può monitorare tutto questo. Eppure ora monitorano sufficientemente bene la pornografia infantile, dopo che hanno perso la battaglia per rendere illegale il farlo.
Ma attenzione, Facebook non è il solo a essere avido e malevolo. Anche Google ha appena annunciato che bandirà tutti gli annunci politici e controversi dopo il giorno delle elezioni. Ma perché cavolo? La gente sta già votando! I giganti della tecnologia hanno sempre fatto il minimo che potevano all’ultimo momento possibile. E Facebook e Google aspettano ancora di più. E se fanno qualcosa, però non penalizzano gli autori originari dei post velenosi. O li lasciano tornare sulla piattaforma sotto altri nomi. O affermano di non essere un editore, ma solo una piattaforma.
E poi? urlano i nostri avversari. Il governo dovrebbe regolamentare tutto? Volete tornare a vivere nelle caverne? Ma cosa c’è di così orribile nella regolamentazione, se parliamo di cinture di sicurezza nelle auto, di semafori rossi o di patenti di guida? O dell’istruzione obbligatoria per i nostri figli? O di acque potabili senza piombo? I principali giornali di questo paese rispettano la Regola delle Tre Fonti. Quando la Commissione Federale per le Comunicazioni aveva voce in capitolo, Fox News non l’avrebbe mai fatta franca con la disinformazione che la contraddistingue.
E nel frattempo, la Big Tech ammassa i suoi veri prodotti: voi e io. Come nel grande romanzo distopico, il Soylent Green siamo noi. Nell’aprile del 2018 Brian X. Chen, reporter di tecnologia di consumo per il New York Times, ha scritto un pezzo agghiacciante in cui affermava, tra l’altro “Il mio file di Facebook era come il vaso di Pandora. Facebook aveva tutta la mia rubrica telefonica, compreso il numero per chiamare il mio citofono… hanno tenuto un registro permanente delle persone che avevo cancellato dalla lista dei miei amici negli ultimi 14 anni, comprese le mie ex…. dati che trovavo inopportuni non potevano essere rimossi… i dati sono stati mantenuti per poter fornire alle aziende la possibilità di mandare annunci mirati”. Ma ancor più inquietante di tutto ciò, dice Chen, è il numero di inserzionisti che hanno le sue informazioni nei loro database: “una lista di circa 500 aziende” con cui, nella stragrande maggioranza, lui non ha mai avuto a che fare. I dati raccolti da Google erano enormemente più pesanti dei suoi dati Facebook; solo per il suo account di posta elettronica personale, l’archivio di Google dei suoi dati era di 8 GB. Inoltre, in una cartella con l’etichetta “Annunci”, Google conservava una cronologia degli articoli di informazione che aveva letto, perché i siti avevano caricato annunci inviati da Google. Chen terminava il suo articolo dicendo: “Vi ho avvisati“.
Va bene, lasciamo stare che soffocano l’innovazione perché le loro piattaforme costituiscono ormai il solo accesso a tutti i media per la maggior parte degli americani. Lasciamo stare che i loro profitti salgano alle stelle, mentre i ricavi dell’editoria giornalistica sono diminuiti del 70 per cento dal 2001. Mettiamo da parte l’intrusione di Facebook nella vostra privacy e il modo in cui i suoi algoritmi scovano ogni vostro contatto e desiderio segreto. Non contiamo il fatto che hanno dato la colpa alla Russia per aver sabotato le elezioni USA con l’hackeraggio, quando in realtà i russi si stavano solo servendo della piattaforma di Facebook. Non consideriamo che miliardi di dollari sono stati riallocati dai creatori di contenuti ai proprietari di piattaforme monopolistiche, e che tutti i creatori di contenuti che dipendono dalla pubblicità devono negoziare con i gate-keeper, Google o Facebook, perché sono le loro sole vie per comunicare con il mondo. Dovrei dire le nostre sole vie per comunicare con il mondo, perché altrimenti come potrei farvi sapere che ho un podcast o che scrivo un blog o che pubblico un libro?
Ma aggiungendo la beffa al danno, Facebook ha recentemente pubblicato un annuncio di una pagina sul New York Times in cui con tono da “Siamo i più bravi”, afferma di essere responsabile della lotta contro le interferenze elettorali straniere (assolutamente non vero, e che mi dite di quelle nazionali?), di proteggere la privacy e i dati delle persone (traduzione: vendendoli), e di consentire una facile e sicura portabilità dei dati tra le piattaforme (questo forse è vero perché i giganti della megatecnologia controllano in effetti le piattaforme). Mio Dio, tutto questo solo perché Mark Zuckerberg potesse avere delle ragazze, quando era uno studente nerd! Tutto questo perché Sheryl Sandberg, con la scusa del femminismo, potesse predicare alle donne che dovremmo “farci avanti”, che è colpa nostra se non avanziamo più aggressivamente in qualche multinazionale. L’annuncio sarebbe divertente, se questo fosse divertente. Ma non c’è niente di spiritoso nel suggerire che i democratici hanno promesso rivolte e omicidi in fase di elezioni e nel chiedere provocatoriamente come reagiranno i pro Trump. Non c’è niente di umoristico nell’invocare “eserciti pro Trump” per sorvegliare i seggi negli stati in cui la legge permette di girare armati.
Non c’è niente di divertente nel minacciare di morte gli individui, la nostra privacy, la nostra democrazia.
Quindi che fare con Facebook e Google – e anche YouTube, dove la destra più dura è sempre più di casa. E con Amazon, e anche Apple. (Non avevo abbastanza spazio per occuparmi di tutti). Mi rendo conto che dobbiamo sbarazzarci di Trump prima di poter fare qualcosa di costruttivo. Però possiamo già preparare dei piani per iniziare a educare i consumatori.
Ecco una serie di suggerimenti:
1) I monopoli si creano con l’acquisizione: Facebook compra Instagram e WhatsApp; Google compra Double-Click; Amazon compra Audible, ecc. Per cominciare (e come minimo), queste società non dovrebbero essere autorizzate ad acquisire altre società, come Spotify o SnapChat. Se sono troppo grandi per essere regolate, allora dovrebbero essere frammentate.
2) Regolamentare un’azienda come Google come un servizio pubblico; richiederle di concedere in licenza i brevetti a un costo nominale, per i suoi algoritmi di ricerca, gli scambi di pubblicità e altre innovazioni chiave. Richiederle di fare ricerca, come ha fatto Bell Labs quando la AT&T è stata regolamentata – e ha prodotto il transistor, il microchip, il microonde, il laser e la telefonia cellulare, più 8 premi Nobel – nell’interesse del pubblico.
3) Rimuovere la clausola “Safe Harbor” nel Digital Millennium Copyright Act del 1998. Un nome che suona bene, “porto sicuro”; ma l’intento è disastroso. “Safe Harbor” permette ad aziende come Facebook e YouTube di Google di navigare liberamente su contenuti prodotti da altri. Eliminare la disposizione Safe Harbor costringerebbe i social network a pagare per i contenuti pubblicati sui loro siti, invece di praticare quella che possiamo ben chiamare pirateria. Un solo esempio: un milione di download di una canzone su iTunes frutterebbe all’artista e alla sua etichetta discografica circa 900.000 dollari. Un milione di ascolti in streaming di quella stessa canzone su YouTube rende loro solo circa 900 dollari. Lo stesso vale per gli autori, e per i creativi in ogni ramo. Cosa ancora più frankensteiniana: queste aziende stanno già facendo ricerche sugli algoritmi che comporranno musica, scriveranno canzoni e libri, e produrranno “arte” a costo zero, senza coinvolgere fastidiosi artisti viventi.
4) Sempre sulla clausola “Safe Harbor”: sapete il vero motivo per cui ci sono centinaia di migliaia di video che diffondono odio su YouTube, molti con annunci che producono entrate per chi li ha pubblicati, tutti volti a radicalizzare la gente impressionabile? Non perché i suprematisti bianchi e i seminatori di odio siano brillanti. Ma perché YouTube non deve assumersi la responsabilità dei contenuti della sua rete. Sapete qual è il vero motivo per cui Hillary non si è seduta nello Studio Ovale, dove invece sta acquattato come un rospo Donald Trump? I bot russi (manipolatori anonimi del web) si sono scatenati, e lo fanno ancora adesso, su Facebook e Twitter, che prendono i loro rubli senza alcuna colpa o responsabilità per ciò che le loro piattaforme stanno lanciando.
5) Le aziende tecnologiche dovrebbero formare un consorzio per fissare gli standard di tutte le piattaforme. Per cominciare, potrebbero guardare al lavoro della Election Integrity Partnership, che ha costruito un quadro di riferimento per la classificazione delle politiche di sicurezza elettorale di Big Tech e ha stabilito che poche piattaforme hanno tali politiche. C’è un precedente per questo: nel 2016 Facebook, Twitter, Google e Microsoft si sono uniti per combattere i contenuti estremisti utilizzando le impronte digitali uniche per contrassegnare video, immagini e memi che promuovono ideologie e atti terroristici.Quindi la stessa cosa può essere fatta con il terrorismo nazionale. Ricordate, il negativo batte il positivo e quel che importa all’algoritmo è solo l’attenzione.
6) Sostenete i vostri legislatori. Per troppo tempo i repubblicani hanno combattuto Big Tech perché pensavano che fosse gestita da hippy di sinistra con la coda di cavallo (anche dopo che gli hippy sono diventati miliardari). Per troppo tempo i democratici sono stati preda dell’ottimismo tecnico, come se la Silicon Valley potesse risolvere tutto (e salvare l’economia). Ma ora un rapporto di 450 pagine, a conclusione di un’indagine di 15 mesi della sottocommissione antitrust della Commissione giudiziaria della Camera dei Rappresentanti, ha scoperto che Amazon, Apple, Facebook e Google si sono impegnati in tattiche anticoncorrenziali e monopolistiche per diventare quattro fra i più potenti colossi aziendali del mondo. Gli investigatori propongono la più radicale revisione della legge antitrust degli ultimi decenni.
In breve, non è finita finché non è finita. La resistenza non è inutile. Possiamo reclamare queste innovazioni dai boss di quelle compagnie. Nel frattempo, tenetevi stretta la vostra privacy, restate curiosi ma diventate vigili, custodite la nostra democrazia, e votate di persona, possibilmente presto, o per posta, ma votate. Abbiamo intelligenza, testardaggine, pazienza, urgenza, lungimiranza, visione, umorismo – e siamo insieme. Possiamo farcela.
(Il testo è uscito il 12 ottobre 2020 sul blog di Robin Morgan)