di Cristiana Paziente e Furio Sapiente
Illustrazione di Doriano Solinas
I giornali italiani si eccitano per un nonnulla, se si tratta di televisione l’eccitazione arriva al parossismo ma solo se c’è da occuparsi, male, del servizio pubblico. Per gli editori privati, soprattutto per uno di loro, con tanto di partito politico, rappresentanza parlamentare e presente e passato di governo, valgono i due pesi e le due misure. Così passa inosservata non fosse per un articolo, solo on-line, dell’Espresso e per un pezzo del Manifesto, la quarta rete generalista assegnata a Mediaset, quel canale 20 così nominato per ricordare ai più che si trova al tasto venti dei telecomandi degli oltre cinquanta milioni di televisori presenti nelle case di 24,2 milioni di famiglie italiane.
Il caso o meglio il non caso, quello a cui non si è prestata attenzione, nasce da una delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), che conferma e attribuisce il glorioso titolo di rete “generalista” al canale Mediaset 20. Le risposte sono arrivate dall’ufficio stampa di Agcom a L’Espresso online e dal presidente dell’Autorità in persona, Giacomo Lasorella, all’articolo di Vincenzo Vita (già sottosegretario al Ministero delle comunicazioni durante il governo Maccanico) sul Manifesto. Ed è questa ultima risposta ad aver suscitato la nostra attenzione. Ci è sembrato che il presidente chiedesse aiuto, lanciasse un avviso ai naviganti. Dapprima infatti sostiene che in Italia non esistono reti televisive generaliste, ovvero per dirla con parole sue: “Quanto alla definizione generalista e semigeneralista occorre precisare che il nostro ordinamento non prevede alcuna differenza tra le due categorie né per gli obblighi di programmazione e neppure per il fornitore di servizi media”. In Italia esiste una Bibbia per chi si occupa di televisione, il Tusmar (Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi e Radiofonici), che già all’Art. 2 recita: emittente televisiva commerciale nazionale è l’emittente che trasmette in chiaro prevalentemente programmi di tipo generalista con obbligo d’informazione. Cosa ci vuol dire allora Lasorella che certamente conosce il Tusmar a memoria? Ci dice che tra un po’, non oggi, ma forse già domani, le generaliste non esisteranno più come definizione. In fondo si tratta di differenze solo italiane, del resto tutto il sistema televisivo italiano è solo italiano. Solo in Italia esiste un solo editore con tre reti generaliste a fronte di tre reti pubbliche. È un nostro unicum mondiale. Adesso che le reti sono tante non vale più la pena star lì a sottilizzare. Chi ne ha di più infatti è l’editore privato. Lo sapete che Mediaset ne ha ventidue e il servizio pubblico tredici? Del resto fu la P2 a fornire indicazioni e istruzioni per agire nel comparto radiotelevisivo nazionale rendendolo, come dice Stefano Balassone su Domani del 28 maggio, “Il peggior sistema televisivo dell’Occidente”.
Il problema del canale 20 nasce perché l’Autorità ha definito meno equivocamente chi è canale semigeneralista e chi tematico: semigeneralista è chi trasmette più di due tipologie di programmi e nessuna supera il 70% di quanto emesso; è invece tematico il canale che trasmette oltre il 70% di una sola tipologia. Ebbene il canale Mediaset 20 ha trasmesso nel corso dell’attuale stagione televisiva oltre l’80% di fiction, cioè di film, telefilm, serie, miniserie, soap e novelas, tutti generi che compongono appunto una sola tipologia, la fiction. A questo punto il compito dell’Autorità sarebbe comunicare al Ministero dello sviluppo economico che al numero 20 sta un canale tematico, canale che non può occupare quella posizione destinata invece a una generalista, e dunque intervenga. Cosa fa l’Autorità? Esattamente il contrario, invita il Ministero dello sviluppo economico a confermare il titolo e il ruolo di generalista al canale Mediaset20, che in tutta evidenza non lo è.
Il secondo punto toccato dal Presidente dell’Agcom nella risposta al Manifesto, è chiaro: È il mercato, in base agli ascolti e alla programmazione, a dare un valore ai canali. Quindi la delibera attaccata da Vincenzo Vita registra semplicemente una situazione – legittima – esistente dal 2017.
Ma non è vero, purtroppo. La numerazione dei canali è distribuita dal Ministero dell’Economia ma su indicazione dell’Agcom: i numeri da 1 a 9 vanno alle reti “generaliste”, dal 10 al 19 alle emittenti locali e poi il numero 20, e solo quello, va di diritto a una rete generalista. Dal 21 in poi partono nell’ordine: semigeneraliste; bambini e ragazzi; informazione; cultura, etc. etc. Tutto, definizioni e ordine, è stabilito in modo chiaro dalle delibere dell’Autorità presieduta da Lasorella. Il quale sa di certo che il canale Mediaset 20 ha ascolti più bassi di molte altre reti che hanno una programmazione in tutto simile. Cosa intende farci capire allora il presidente? Forse che non ci sarà più una disciplina e che si torna all’antico, quando chi si prendeva una frequenza televisiva, ovvero un bene pubblico, se la teneva per sempre e poteva anche rivendersela?
Il mercato non sarà quindi, come suggerisce il presidente, quello degli ascolti e della programmazione, ma quello della compravendita dei numeri sui tasti dei telecomandi d’Italia?