di Giovanna Ferrara
il manifesto | 7 marzo 2020
Ogni giornale, ogni rivista è uno sguardo sul mondo. Leggendo si accede a quello sguardo, filo che lega l’opera collettiva, facendone un laboratorio di pensieri allo scoperto. Delle vicende occorse attorno alla rivista satirica e femminista Aspirina si occupa il libretto Bayer contro Aspirina, l’umorismo che resiste ai diserbanti a cura delle redazione della rivista ed edito per Deriveapprodi (pp. 125, euro 10). Testi e disegni che spiegano questa pratica di relazioni pensanti che è stata la pubblicazione Aspirina (ora si chiama Erbacce, forme di vita resistenti ai diserbanti, testata disegnata da Teresa Sdralevich), a partire da un caso paradossale: il colosso Bayer-Monsanto ingaggia una battaglia legale con la rivista Aspirina, che dal 1987 anima con intelligente ironia lo sguardo femminista su accadimenti e notizie.
Il nome, a detta dei super avvocati specializzati in brevetti assoldati dalla multinazionale Bayer Intellectual Property GmbH, creerebbe confusione nella clientela, «come se chi ha il raffreddore non fosse in grado di capire la differenza tra il farmaco e una rivista». E pensare che il marchio Aspirina è di proprietà della Bayer, tra i paesi occidentali, solo in Canada e in Italia. E pensare che la Bayer è abbastanza occupata a gestire i casi legali ereditati dalla fusione con la Monsanto, «un matrimonio infernale» da 66 miliardi di dollari. Il colosso dei pesticidi a base di sostanze cancerogene è accusato da tribunali e autorità scientifiche di spargere nel mondo larghe dosi di cancro, a causa dell’uso sconsiderato del glifosato.
Come spiegare l’interesse della multinazionale per una piccola rivista satirica? «I colossi neoliberisti sono una banda di bulli», commenta l’immancabile vignetta. Lo strano caso giuridico che ha coinvolto la rivista rientra, a pieno titolo, nella casistica osservata nelle tante analisi dell’attivista indiana Vandana Shiva: «l’estinzione è l’unica modalità con cui il patriarcato affronta le cose vive e libere». E non c’è dubbio che il capitalismo, con la sua capacità estrattiva di vita, sia un predicato del patriarcato, ne sia una sua manifestazione globale. Perché, ci ricorda questa corale riflessione, la differenza femminile sta «in un pensiero conservativo ed ecologico».
C’è, dunque, una buona notizia in questa storia: la parola non smette di dare fastidio. Possiamo continuare a credere nella parola. Nella sua capacità di rimanere il farmaco più efficace rispetto al quale nessuna aspirina potrà mai essere comparata.
Le animatrici della rivista dettagliano il dibattito interno su cosa fare una volta intrapresa la battaglia legale. Sceglieranno di cambiare il proprio nome da Aspirina a Erbacce, perché il linguaggio satirico «è un linguaggio arrischiato che cresce sulle rovine. L’attacco di Bayer è anche il riconoscimento che abbiamo dato fastidio a qualcosa, a qualcuno. In questo senso lo accettiamo come una medaglia al valore».
La causa legale sarebbe stata lunga e costosa. Non tutti se la possono permettere, ci spiegano dando così un contributo esperenziale all’eterno dibattimento su cosa sia la giustizia e su come essa sia troppo condizionata dalle capacità economiche dei ricorrenti. La Bayer può permettersi i più grandi studi legali e le tante spese connesse a una causa, una piccola rivista no.
La seconda parte del libro è dedicata a una esplorazione dei temi che attraversano la comunicazione ai tempi dell’automazione, a cosa sia la satira, a come questo gruppo di donne, Loretta Borrelli, Piera Basotti, Pat Carra, Laura Marzi (sono solo alcune), elabori il presente tessendo una rivista online che non smette di far sorridere e pensare. Interessante è la storia su come hanno scelto di essere sul web: Erbacce è ora digitale, ha un archivio dove sono raccolte tutte le pubblicazioni con il nome Aspirina, e dove la riflessione non cede il passo alla frammentarietà dei contenuti e all’impulso di pubblicazione proprio dei social. Rimane così a tessere un altro sguardo questo gruppo intelligente, che continua a fare abbondante uso della libertà, ambito che rimane «l’impensato della sinistra, mentre, e non per caso, il femminismo italiano ne fa un territorio privilegiato sia in teoria che in pratica».