di Laura Marzi
Illustrazione di Isia Osuchowska
Un videogioco amatoriale inventato da una giovane studentessa in cui la ragazza sul monitor ha un arsenale fornitissimo che utilizza contro gli uomini che incontra: a ogni episodio di cat-calling o di molestia reagisce con armi diverse e il suo tragitto da scuola a casa diventa un vero e proprio camposanto itinerante con lapidi che spuntano laddove ha freddato il molestatore con un mitra, una pistola o… È una delle prime immagini che mi vengono in mente se mi soffermo a riflettere sul tema della violenza contro le donne. E poi ricordo la filosofa Elsa Dorlin che al seminario dottorale ci mostra le immagini del videogioco e il suo avambraccio scoperto con sopra una tigre tatuata.
Prima di trasferirmi a Parigi, prima del dottorato, io volevo farmi disegnare un coltello che mi usciva dal polso: pensavo che invece dell’asso nella manica mi sarei messa simbolicamente un’arma, per sancire non solo che non ero indifesa ma che potevo diventare parecchio sanguinaria. Era un periodo in cui prendevo le botte, dagli sconosciuti, e dal fidanzato.
Un uomo, mai visto prima, mi diede un pugno in testa a una festa, la settimana dopo un altro con cui stavo litigando perché aveva infastidito una mia amica cercò di pisciarmi sulle scarpe. Non ci riuscì solo perché saltai via dal getto. Avevo appena lasciato un ragazzo tanto desiderato che quando sentì che la mia voglia di lui si affievoliva, deviava, mi sbatté sul cruscotto di una macchina in strada una volta, con le mani al collo. Pochi mesi dopo, un’altra notte d’estate, mi strappò tutti i vestiti, anche il reggiseno, lasciandomi in mutande e in sua balia ad aspettare che mi venissero a prendere. Lo lasciai, ma ero vulnerabile, puzzavo di paura forse.
Nei tanti seminari sul tema hanno cercato di insegnarmi che dovevamo uscire dal ruolo di vittime, che i cartelloni di cui Parigi per esempio era tappezzata, che ritraevano ragazze con l’occhio nero che piangevano, con sotto una scritta che invitava a contattare un numero apposito in caso di necessità, erano il male. Noi potevamo reagire, noi non dovevamo avere paura, noi sapevamo essere violente quanto e più degli uomini. Quello che infine ho imparato, non solo durante il dottorato, ma negli anni che lo hanno seguito di pratica di femminismo separatista, è che se non credo davvero di poter sdraiare a terra uno, viste le mie manine e la pressione bassa, posso provare a essere consapevole della rabbia e della forza a cui Dorlin ci invitava a fare appello e posso continuare ad affidarmi alla mia astuzia, essere stratega.
Sono la sorella minore di due fratelli che nella loro vita il Maschio l’hanno fatto eccome, in molti modi, con la ricerca del potere, lo sfruttamento del privilegio, la fragilità sommersa di aggressività. Io li ho amati molto e tuttora sono nel mio cuore, sono stati la mia compagnia durante l’infanzia, ma quando non sono diffidente con loro, sono almeno guardinga. Grazie a questa pratica inevitabile di condivisione e sottomissione, ho sviluppato un desiderio antico di passare il mio tempo con le ragazze, di vivere con loro il mio bisogno di socialità, le mie amicizie.
Gli uomini sono frequentabili a nostro rischio e pericolo. Nel rischio e nel pericolo ci si nasconde tanta voglia, almeno per me è spesso stato così, specie quando ero giovane, ma nelle mie fantasie sessuali tuttora che ho quarantun anni compaiono uomini bruti e le scene che la mia mente mi propone possono essere molto simili a quelle che scorrono nei siti porno mainstream. Partire da sé per me significa anche cercare di accettare questo aspetto fondamentale dell’eterosessualità e forse della sessualità in generale, quello di derivare ed essere immersa in un immaginario collettivo sul quale non abbiamo controllo. Per me comporta anche cercare di sfidare e sollecitare la mia immaginazione per provare a creare scenari di accoppiamenti più eccentrici rispetto al modello standard della donna che gode sopraffatta da uno o più uomini. Si tratta di un tentativo quanto mai complesso in cui è molto difficile distinguere tra la ricerca di nuove immagini per il piacere e l’avanzare castrante del Super Io. Fallisco quasi sempre, lo ammetto.
La pratica del separatismo mi permette una via di fuga dall’inevitabile impasse di una vita in costante confronto con gli uomini, in cui il patriarcato non è solo un sistema di cui faccio inevitabilmente parte, ma una logica alla quale mi sottometto. Se passo molto tempo in dinamiche relazionali e di potere definite dagli uomini e me ne lamento, avendone anche tutte le ragioni per farlo, il rischio è di giudicarmi e vivere la mia vita sulla base dei loro criteri: su quanta esuberanza sia ammissibile, quanta angoscia tollerabile, quanta ciccia apprezzabile, quanta nevrosi sostenibile…
Non starò qui a perdere tempo dicendo che ci sono le eccezioni, gli uomini buoni, perché siamo tutte e tutti eccezioni. La sessuologa statunitense Anne Fausto-Sterling ha scoperto nelle sue ricerche che meno della metà della popolazione mondiale possiede tutti i criteri biologici (ormonali, di forme e dimensioni di organi genitali interni ed esterni) per essere inserita a pieno titolo tra i maschi o le femmine. Hélène Cixous scriveva che in una vecchia donna magra e altolocata può nascondersi un generale baffuto, il genere è una masquerade sostiene Butler. Ciò non toglie che una buona parte dei maschi utilizza la propria maggiore forza fisica, il timbro della voce, l’altezza, la capacità di sopraffazione nel corpo a corpo per mettere le donne in una posizione subordinata, per fare del male.
L’invito che ci faceva Elsa Dorlin a ribellarci, a usare noi il nostro corpo violentemente contro gli uomini rimane valido. Le donne non delinquono, solo il 4,2 per cento dei detenuti nelle carceri appartiene al genere femminile. Ognuna può scegliere la propria strada, che sia il crimine o il separatismo, perché visto che ci sono tutte queste morti, visto che ogni due giorni le donne cadono, vuol dire che la guerra dei sessi si combatte ancora, nessun armistizio è stato proclamato.
Io non voglio passare la mia vita solo a stare attenta al nemico, desidero poter restare dalla mia parte.
Il racconto fa parte di #Unite. Azione Letteraria, una campagna ideata da Annalisa Camilli e Giulia Caminito, che dopo il 25 novembre 2024 hanno invitato scrittrici e giornaliste italiane a scrivere sulla violenza maschile contro le donne. Hanno aderito oltre 100 autrici che hanno pubblicato racconti e articoli su quotidiani e riviste.
L’illustrazione di Isia Osuchowska è tratta dai Tarocchi SCUM – carta n.6 Stalker