Decreto cannucce

di Fabrizio Tonello
Illustrazione di Marilena Nardi

C’erano la guerra in Ucraina, i bombardamenti israeliani in Cisgiordania e in Siria, i dazi con cui colpire le esportazioni europee e cinesi, la Groenlandia da conquistare, il Canada da annettere… insomma parecchia roba sulla scrivania di Donald Trump. Invece, il 10 febbraio scorso, la Casa Bianca ha pubblicato un decreto presidenziale intitolato “Donald Trump mette fine all’approvvigionamento e all’uso forzato di cannucce di carta”. In confronto, gli otto orchestrali del Titanic che continuarono a suonare fino all’ultimo minuto mentre la nave affondava erano un modello di lungimiranza.
Il decreto richiede, niente meno, “lo sviluppo di una Strategia Nazionale per porre fine all’uso di cannucce di carta entro 45 giorni e per alleviare l’uso forzato di cannucce di carta a livello nazionale”. Cosa sono, in fondo, le minacce come il riscaldamento globale, il terrorismo, il rafforzamento militare della Cina, di fronte ai pericoli posti dalle cannucce di carta? Il documento cita anche i PFAS (quelli che abbondano nella nostra acqua potabile) come una delle ragioni per bandire le cannucce di carta.
Potremmo chiederci perché un’amministrazione che afferma costantemente la sua intenzione di ridurre l’invadenza del governo federale in nome delle idee “libertarie” vara un provvedimento come questo che intende regolamentare cosa bevano i cittadini nei McDonald’s o negli Starbucks. In realtà, la ragione è interamente simbolica: le cannucce di plastica bianche e rosse fanno parte dell’immaginario del movimento Maga e del suo rapporto con il passato.
Nell’America trumpista le cannucce di plastica per sorseggiare le bibite gassate sono gli anni ’50, la società dei consumi, della plastica e del fast food. Un mondo in cui le preoccupazioni per le sorti del pianeta erano inesistenti, o comunque scollegate da qualsiasi riflessione collettiva sull’ordine sociale: Primavera silenziosa di Rachel Carson, il testo fondatore dell’ecologismo americano, sarebbe stato pubblicato solo nel 1962 e attaccato furiosamente per anni dalle aziende chimiche che difendevano il loro business dei pesticidi.
Il movimento che per due volte ha portato Donald alla presidenza si chiama Make America Great Again, dove l’enfasi sta tutta su “again”, di nuovo, com’era una volta. Si vuole congelare il tempo, tornare al passato e le cannucce di plastica sono parte di un’estetica generale del trumpismo. L’obiettivo dell’esecutivo è quello di utilizzare tutti gli strumenti del governo per riportare gli Stati Uniti, in modo autoritario e in questo caso caricaturale, a un passato idealizzato. In realtà, gli Stati Uniti degli anni ’50 imponevano un’aliquota fiscale per i più ricchi del 90%, le disuguaglianze erano quindi meno profonde e lo stato sociale più efficace.
La prosperità degli anni di Elvis Presley decantata dal trumpismo è un modo per tenere insieme un movimento eterogeneo attraverso il miraggio di ricreare una società strutturata solo sul consumo, politicamente passiva, organizzata attorno alle gerarchie tradizionali della superiorità degli uomini sulle donne e dei cristiani bianchi sulle minoranze etniche e religiose. Questa cosiddetta età dell’oro è esistita, in realtà, solo nelle finzioni edulcorate dei settori meno fantasiosi di Hollywood e della pubblicità di Madison Avenue. Trump tenta di rendere reale un’estetica che era superata nel momento stesso in cui era stata prodotta e che tentava di nascondere la realtà delle diversità e dei conflitti che stavano travolgendo gli Stati Uniti.
In questa America fantastica in cui tutti (e soprattutto ogni donna) erano al loro posto, riportare in vita le cannucce di plastica è, secondo un pensiero magico ma narrativamente efficace, un segnale rivolto a tutti affinché riprendano il posto loro assegnato nella coreografia kitsch della società dello spettacolo trumpista.
Peccato che non ci sia nulla di innocente in questa promessa di un ritorno alla rassicurante America delle cannucce di plastica, invocata da un’amministrazione circondata da miliardari di un tipo completamente nuovo, le cui fortune si basano in gran parte sulla produzione di un futuro dai contorni minacciosi.

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