di Robin Morgan
Traduzione di Margherita Giacobino
Vignetta di Pat Carra
Come scrisse Santayana: “Chi non ricorda il passato è destinato a ripeterlo”.
È senz’altro un momento di presa di coscienza – e non poco spaventoso – pensare agli anni ’20 in profondità, e riconoscere quanto siano simili a quello che stiamo attraversando, e a quello che dovremo affrontare in questo decennio.
Tanto per cominciare, in entrambi i casi la popolazione degli Stati Uniti (e del mondo) sta appena uscendo da una grande pandemia. L’influenza spagnola, conosciuta anche come l’influenza del 1918, fu una pandemia insolitamente mortale causata dal virus A dell’influenza H1N1. Durò dal febbraio 1918 all’aprile 1920 e infettò 500 milioni di persone – circa un terzo della popolazione mondiale all’epoca – in quattro ondate successive. Il numero di morti è convenzionalmente stimato tra i 20 e i 50 milioni, anche se le stime vanno da un prudente 17 milioni a un possibile massimo di 100 milioni; si trattò comunque di una delle pandemie più letali della storia dell’umanità. Attualmente le morti ammontano a quasi quattro milioni e abbiamo dei vaccini, ma attenzione: si parla di questa ondata e di questa mutazione.
Siamo appena usciti, per un pelo, dalla morsa di Trump e dalla sua retorica dell’”America First”, che ricorda tanto la campagna e la presidenza di Warren Harding. L’aria è ancora avvelenata dalla retorica, dalle minacce e dagli atti di violenza della destra, che ricordano fin troppo terribilmente la rapida crescita del Ku Klux Klan e di altri gruppi paramilitari di ultradestra negli anni ’20, quell’ondata nazionalista e anti-immigrati che guardava con allarme e poi con orrore l’influenza progressista da qualsiasi parte venisse: dalle donne, dalle persone di colore, dalle lesbiche e dai gay, da tutti gli immigrati non provenienti dal nord dell’Europa. La reazione all’emancipazione delle donne, la repressione delle lesbiche e dei gay che osano mostrarsi e affermare se stessi, la cancellazione dei movimenti per la pace, per l’educazione e il buon governo, la negazione dell’evoluzione, della scienza stessa, tutto ciò cova ancora sotto la cenere, dietro le quinte.
La proliferazione delle comunicazioni di massa via radio trova un parallelo, naturalmente, nell’internet – e molti dei problemi che questo comporta li conosciamo già. Il consumismo è arrivato a livelli molto più alti, e come la produzione di massa dell’automobile ha rivoluzionato gli anni ‘20, l’alta velocità e, ancora più drammaticamente, l’inizio dei viaggi spaziali, stanno per rivoluzionare il prossimo decennio. Nel censimento del 1920 abbiamo visto l’urbanizzazione raggiungere un punto di svolta, ma ora l’urbanizzazione non è più una previsione, è un dato di fatto, che probabilmente sarà accompagnato da uno spostamento elettorale a sinistra (ma a ogni azione corrisponde una reazione e alla fine questo potrebbe significare un contraccolpo reazionario).
La politica del rancore in cui si arroccano soprattutto, ma non esclusivamente, i maschi bianchi anziani si è semmai approfondita, anche se nessuno di loro sarebbe in grado di specificare quali valori noi flapper* del 2021 staremmo calpestando. Il concetto che le risorse non sono illimitate sembra proprio mandarli in confusione.
I parallelismi sono sorprendenti – e pericolosi.
Quindi, se qualcuna di noi pensava di poter tirare un sospiro di sollievo, dato che la pandemia sembra quasi finita e che Trump è stato sconfitto nella sua candidatura per la rielezione, siamo costrette a ripensarci.
Questo non sarà, non deve essere un decennio ingenuo come lo furono i ruggenti anni ’20, così audacemente sicuri del futuro che ci attende, così idealisticamente fiduciosi nella nostra visione. Ripetere quegli errori significa rischiare, persino invitare, un disastro finanziario paragonabile al crollo del ‘29 e alla grande depressione, ripetere o estendere il trionfo dell’estrema destra e, cosa ancor più spaventosa, andare incontro a un’altra guerra catastrofica.
Ricordatevi che il periodo tra le due guerre non si chiamava così, all’epoca. Era chiamato il periodo “dopo la grande guerra”, dal momento che la prima guerra mondiale, ci era stato assicurato, si era guadagnata il titolo di “guerra che mette fine a tutte le guerre”. Invece, quella guerra sarebbe stata seguita dall’ascesa in Europa del partito nazionalsocialista – e ricordate che Hitler fu eletto! – e il nazismo avrebbe perpetrato le peggiori atrocità del XX secolo. E questo avvenne dopo il movimento artistico Bauhaus, dopo la repubblica di Weimar, dopo una serie di liberalizzazioni. E adesso? In Europa stanno nuovamente sorgendo governi di destra. Ma oggi, con gli armamenti nucleari, non possiamo permetterci che questo sia un altro periodo “tra le guerre”, e nemmeno immaginare una terza guerra mondiale.
Ci sono tuttavia differenze cruciali, che vanno sottolineate.
La prima e più rilevante è il destino del pianeta, che aggiunge un’urgenza prima assente. Il tempo passa e ce ne resta poco. Il cambiamento climatico è già iniziato e sta avvenendo più velocemente del previsto. Questa volta dobbiamo sbrigarci e fare le cose per bene, o non ci sarà una prossima volta.
Oggi si fa avanti un movimento mondiale di donne, cosa mai vista prima. Metà di tutta l’umanità si fa sentire e si rifiuta di essere messa ancora una volta a tacere. Negli Stati Uniti, negli ultimi due anni le persone di colore si sono mosse, e tuttora si muovono e sono più unite che mai, a memoria storica. Inoltre, i cambiamenti demografici di questo paese sono importanti: entro il decennio in corso, gli Stati Uniti non saranno più un paese a maggioranza europea-americana. (Questo è sia un segno di speranza che di avvertimento – speranza per ovvie ragioni, ma avvertimento perché le forze reazionarie senza dubbio reagiranno).
Se siamo vigili e restiamo uniti e unite; se usiamo attenzione e intelligenza; se abbiamo fiducia nelle meraviglie che la conoscenza scientifica può donarci e osiamo provare l’empatia che la nostra politica più profonda ci richiede – empatia per l’altro e per il pianeta stesso – possiamo farcela.
Le persone coraggiose che hanno tracciato un sentiero illuminato per noi negli anni ’20 – gli artisti della Harlem Renaissance e gli attivisti sindacali, le donne che hanno lottato per avere il voto e per estenderlo, le lesbiche e i gay costretti a nascondersi che hanno comunque lasciato tracce di sé – queste sono le impronte su cui camminiamo.
Ancora più importante, anche noi lasciamo le nostre impronte, per chi vivrà nel 3021 e oltre.
*Termine usato negli Stati Uniti negli anni ’20 per indicare le giovani donne emancipate e trasgressive
L’articolo è uscito il 28 giugno 2021 sul blog di Robin Morgan