di Margherita Giacobino
Illustrazione di Anna Ciammitti
È stato recentemente ripubblicato Il demone amante. Sessualità della violenza, di Robin Morgan (a cura di Maria Nadotti, Vanda Edizioni) apparso per la prima volta nel 1989, e poi con una nuova prefazione nel 2001 dopo l’attacco alle Torri Gemelle. In questo testo allo stesso tempo vasto e personalissimo Morgan smaschera la cultura della violenza insita nel pensiero patriarcale a tutti i livelli, dalla religione alla filosofia all’estetica all’immaginario sessuale, e denuncia la mistica del terrorismo anche alla luce del proprio vissuto di ex appartenente a gruppi armati di estrema sinistra e poi di femminista disarmata, riportando anche la sua esperienza con donne dei campi profughi in Medio Oriente.
In questa occasione Margherita Giacobino ha intervistato Robin Morgan sul tema della “normalità” della violenza e del terrore oggi. (NdR)
Nel tuo libro inizi mettendo in evidenza il nesso tra terrorismo e mascolinità.
Il terrorista… è l’idolo sessuale per eccellenza di una tradizione culturale maschilista che si estende dai tempi pre-biblici a oggi: è la logica estensione dell’eroe/martire patriarcale. È l’amante del demone e la società ne è (segretamente o apertamente) affascinata.
Cosa è cambiato da quando l’hai scritto?
Troppo poco, temo! Questo tipo di cambiamento profondo richiede molto tempo. Nella maggior parte degli ambiti – lo Stato costituito (di destra o di sinistra) così come le forze insurrezionali (di destra o di sinistra), la religione, la filosofia, l’estetica, nella sfera personale come in quella politica – siamo ancora impregnati di violenza maschile, dell’euforia del terrore, della democratizzazione e della normalizzazione della sofferenza. Guardate l’Ucraina. È vero che le donne hanno fatto breccia nel potere, e ne hanno perfino in parte cambiato il concetto. Ma le forze schierate contro di noi sono passate al contrattacco (attualmente, si tratta della destra violenta). Vedo la rivolta delle donne in Iran come nettamente diversa, nelle tattiche, nella leadership e nel tono – meno spavalderia, più sostanza – con gli uomini che finora si sono uniti ma non hanno cercato di prendere il sopravvento, il che di per sé è un enorme progresso. In questa rivolta, oltre a rabbia e dolore, risuona anche una nota di vera gioia. Ricordo in particolare un video di una giovane donna che balla e volteggia per strada, facendo roteare la sciarpa sopra la testa e scuotendo i lunghi capelli al sole – e ridendo. Credo che questa possa essere la prima rivoluzione delle donne in epoca contemporanea.
C’è ancora la tendenza a isolare il femminicidio come un crimine radicato nella psiche dell’individuo e/o in un contesto degradato, mentre tu sottolinei la stretta relazione che esiste tra la violenza dell’individuo e la violenza dello Stato, e ci dici che il femminicidio e la violenza domestica sono atti di terrorismo patriarcale.
In che modo il recente femminismo, e in particolare MeToo, ha contribuito alla consapevolezza di questa relazione?
Ha contribuito notevolmente ad aiutare le persone a cogliere il continuum, a capire le connessioni. Per esempio, in quasi tutti i casi di uccisioni di massa tramite sparatorie – non solo negli Stati Uniti, dove il tasso di armi è deplorevolmente alto e dove accadono quasi ogni giorno, ma in tutto il mondo – chi ha sparato ha iniziato accanendosi contro le donne. Non è un’esagerazione. È un dato statistico facilmente reperibile con una ricerca minima, ed è presente nel 99% dei casi, il che ci invita a pensare a cosa significhi veramente. Aumentare la consapevolezza è sempre salutare.
Per controllare la popolazione, bisogna controllare il corpo delle donne. Da lì si passa al controllo della sessualità di tutti: omofobia, mutilazioni genitali femminili, matrimoni combinati, matrimoni infantili, purdah, ecc.
Il tuo libro è per molti versi profetico, vista l’attuale virulenza in varie parti del mondo occidentale degli attacchi anti-aborto, omofobici, ecc.
Sì, purtroppo è profetico. L’ascesa delle destre etremiste in molti Paesi, compresi gli Stati Uniti con Trump, è stata parte di un contraccolpo violento e tossico contro le donne, contro le loro anche minime conquiste, per non parlare degli uomini di colore, degli omosessuali, dei profughi, degli ebrei, delle persone diversamente abili e così via. Sospettavamo che ciò potesse accadere. Ma non ci fermeremo, anche se certi giorni sembra che quello che chiudi fuori dalla porta entri dalla finestra. Sì, era previsto, eppure sembra ancora irreale come un incubo.
In opposizione al pensiero patriarcale, assolutista e binario, tu invochi le virtù (femminili) dell’ambivalenza: pazienza, compassione, consapevolezza, complessità.
L’ambivalenza come superamento della violenza istintuale – le donne, che sono più ambivalenti, sanno che non si vince con la forza, mai, quindi cercano di risolvere i problemi in altri modi – non si tratta né di ingenuità né di utopia, ma di senso pratico.
Abbiamo fin troppo sotto gli occhi le donne della destra populista e le sostenitrici di Trump. Dove vedi invece operare l’ambivalenza salvifica delle donne?
In Iran, per fare un esempio, è l’intelligenza, non l’essenzialismo, che sta emergendo… in modo imperfetto ma chiaro. Il 12 luglio 2022 è stata proclamata la “giornata nazionale dell’hijab e della castità”, istituita dal presidente iraniano Ebrahim Raisi che ha introdotto una serie di regole ancora più draconiane per far rispettare i codici di abbigliamento delle donne.È sempre una questione di controllo, e inizia sempre con il controllo delle donne. È stato annunciato che i funzionari governativi inizieranno a utilizzare tecnologie di riconoscimento facciale sui mezzi di trasporto pubblico per identificare chi trasgredisce. Inoltre, il ministro di gabinetto del “quartier generale iraniano per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio” ha annunciato che le impiegate del governo saranno licenziate se le loro foto sui social media non risulteranno conformi alle nuove regole. Dal 2015 il governo iraniano ha introdotto gradualmente le carte d’identità biometriche. Un’ampia fetta della popolazione è ora presente in questa banca dati.
Poco dopo il ritorno dall’esilio dell’Ayatollah Khomeini nel 1979, le prime a scendere in piazza furono le donne che protestavano contro l’obbligo dell’hijab. E non dimentichiamo che molte figure cosiddette liberali, che in seguito furono disilluse dal “governo rivoluzionario”, si rifiutarono di criticare l’hijab obbligatorio, osservando sprezzantemente: “Non parliamo di un pezzo di stoffa sulla testa delle donne. Non è questo il problema”. Dissero che il problema era lo scià e l’economia e fecero appello all’unità. Ma come ci ricorda la studiosa Fatemeh Shams, una volta fermate le proteste, le donne hanno dovuto indossare l’hijab. Nessuno dei partiti politici che hanno preso il potere, compresi i riformisti della metà degli anni ’90, ha posto come priorità la lotta o l’abolizione dell’hijab obbligatorio.
Inoltre, il nuovo presidente Raisi ha inasprito il codice di abbigliamento e altre restrizioni: tre donne sono state arrestate per aver ballato in pubblico e condannate a un anno di prigione e 91 frustate, 33 saloni di parrucchieri sono stati chiusi e 1700 persone sono state convocate presso i centri di polizia per questioni legate all’hijab. Raisi, molto più integralista del suo predecessore Rouhani, ha intensificato il programma di islamizzazione della nazione e il movimento delle donne rappresentava una minaccia alla sicurezza nazionale, in quanto rappresentava una violazione delle norme sociali. La “legge sulla popolazione” introdotta nel novembre 2021 limita l’accesso all’aborto e alla contraccezione allo scopo di aumentare la natalità in calo in Iran – parte di un processo politico che mira a riportare le donne a casa. Le confessioni forzate, nel frattempo, sono in aumento.
Shams, che insegna letteratura persiana all’Università della Pennsylvania, osserva che “si può farsi un’ idea di un episodio o movimento rivoluzionario dai suoi slogan. Qui lo slogan principale è Donne, vita, libertà, mentre il movimento rivoluzionario del 1979 proclamava soprattutto Pane, lavoro, libertà, lo slogan centrale del Partito Comunista del Lavoro, ispirato al movimento rivoluzionario in Russia”. (È interessante notare che, a differenza del 1979, questa rivolta è trasversale a diverse classi, un fatto notevole in una società classista come l’Iran. La stessa Mahsa Zhina Amini proveniva da famiglia modesta e da una città curda di confine). Shams prosegue affermando che il fulcro di questo movimento è la rivendicazione della libertà del corpo delle donne, e lo slogan deriva dal movimento di liberazione curda ed è il frutto di decenni di impegno delle donne curde in una delle regioni economicamente più svantaggiate dell’Iran. Come sottolinea Shams,questa rivoluzione è senza leader: le persone nelle strade non aspettano che qualcuno prenda il comando. Sono loro i leader. È un punto di forza che questo movimento non si sia coalizzato dietro un leader o un partito politico, il che ha reso molto difficile per le forze di sicurezza reprimerlo. E ci hanno provato! Hanno effettuato arresti di massa di giornalisti e di potenziali leader. I numeri crescono di giorno in giorno, ma al 5 dicembre sappiamo che almeno 244 persone sono state uccise e 125.000 sono state arrestate, tra cui 29 giornalisti, 20 attivisti e 19 insegnanti, secondo i rapporti del governo.
Tutto questo, oltre alla cronica e grave oppressione della popolazione curda e alla repressione dei giovani, ha finito per sfociare in un’esplosione. Oggi vediamo stazioni di polizia, autopompe e fermate degli autobus in fiamme; gruppi di studenti che occupano più di 110 facoltà e centri educativi, uno sciopero nazionale nelle università; i campus delle università di Teheran, di Tabriz e di Sharif invasi da centinaia di poliziotti anti-sommossa che arrestano o tengono in ostaggio i manifestanti. Ma si tratta soprattutto di violenza contro la proprietà. I video continuano ad arrivare, ma anche i proiettili. Le ragazze adolescenti sono in prima linea: Nika Shakarami e Sarina Esmailzadeh, entrambe sedicenni, sono morte dopo aver partecipato alle proteste.
Nassrin Sotoudeh, l’avvocata per i diritti umani che ha rappresentato molte donne processate o condannate per non aver osservato l’hijab obbligatorio, ha dichiarato di recente: “Questo movimento senza leader è guidato da donne che compiono un unico atto rivoluzionario: non portano armi. La sola cosa che fanno è togliersi qualcosa dalla testa e camminare per le strade dell’Iran. L’immagine di questa rivoluzione è il corpo di queste donne senza veli che camminano per strada senza fare del male a nessuno. E questo non ha precedenti”.
Negli anni Sessanta tu hai fatto parte di gruppi di sinistra coinvolti anche in azioni violente, e in seguito sei stata tra i fondatori di W.I.T.C.H. (Women International Terrorist Conspiracy from Hell), che ha inscenato proteste contro Wall Street, contro Nixon, ecc. In che modo il “terrorismo” delle streghe femministe è profondamente diverso da quello dei gruppi politici maschili?
Be’, per prima cosa, avevamo – e abbiamo ancora – il senso dell’umorismo! Lo humor purtroppo spesso scarseggia a sinistra – e di sicuro non lo si trova a destra! Quindi il nostro tono scanzonato e il nostro teatrino di guerriglia ci hanno aiutato in questo senso, e sono serviti anche a coprire aspetti di altre nostre azioni – come spruzzare colla industriale nelle serrature della Borsa di Wall Street nel bel mezzo della notte, per poi “lanciare un incantesimo” per non far aprire le porte. Che ovviamente non si aprirono. Credo che questo – la nostra cattiveria trionfante, la nostra sfida – sia il motivo per cui W.I.T.C.H persiste come fenomeno popolare ancora oggi; a distanza di 50 anni, le giovani donne vogliono ancora farne parte. Sembrano sapere che, se la retorica marxista ti annoia fino al coma, il W.I.T.C.H. ti darà respiro! Non è stata Emma Goldman a dire: “Se non posso farla ballando, non è la mia rivoluzione”?