di Robin Morgan
Illustrazione di Isia Osuchowska
Facciamo un piccolo quiz. Non per cogliervi in fallo, ma solo per mostrare una realtà scioccante.
Diciamo che c’è un gruppo di persone – di americani, diciamo pure. Ora, questo gruppo è davvero in difficoltà. I suoi membri hanno più probabilità di essere uccisi dalla polizia che quelli di qualsiasi altra razza o gruppo etnico. Le donne di questo gruppo hanno 2,5 volte più probabilità di essere violentate o aggredite sessualmente rispetto a quelle di qualsiasi altra etnia, e il 97% di loro ha sperimentato la violenza perpetrata da almeno una persona esterna al gruppo. I giovani hanno il doppio delle probabilità di essere puniti a scuola rispetto ai loro coetanei bianchi, e il doppio delle probabilità di essere incarcerati per reati minori rispetto agli adolescenti di qualsiasi altra razza; hanno anche la percentuale più bassa in assoluto di laureati e il più alto tasso di morti per suicidio fra tutti i gruppi demografici degli Stati Uniti. Cosa ancora più scioccante, la maggior parte degli altri statunitensi, siano essi di origine africana, asiatica, pacifica, europea o latina, non sanno nemmeno più che questo particolare gruppo esiste. Una persona ben intenzionata potrebbe liquidare la faccenda con una scrollata di spalle: “Non li ho mai visti nei media, né da nessun’altra parte”.
Le statistiche di cui sopra sono tratte da un eccellente articolo scritto per Teen Vogue da Rebecca Nagle (Cherokee). Riguarda il lavoro della sua collega Crystal Echo Hawk (Pawnee), il cui importante sondaggio, “Reclaiming Native Truth”, ha mostrato, tra le altre cose incredibili, che due terzi degli americani semplicemente non credono che i Nativi sperimentino la discriminazione razziale. Questa forma di razzismo non agisce tramite la classica “alterizzazione” delle persone oppresse come “diverse”, ma opera l’alterizzazione attraverso la completa cancellazione.
Non solo negli Stati Uniti vediamo raramente notizie da e sui popoli indigeni, ma quando queste ci raggiungono è in base alla formula “se c’è sangue, fa notizia”: una storia sulla scoperta di un cimitero segreto in cui vengono alla luce i corpi di centinaia di bambini indiani; o un caso del numero crescente di donne scomparse in Wisconsin, Winnipeg e dintorni – donne che, se mai le si ritrova, vengono trovate morte e smembrate. Sentiamo o leggiamo le storie di atrocità – e sì, sono notizie importanti e naturalmente dovrebbero essere diffuse – ma dove sono le storie positive, dove vediamo quello che i Nativi realizzano, dove ci viene data la possibilità di capire la storia dei Nativi, che è anche la storia di questo paese?
E poi, dove mai i Nativi sono visibili nelle vicende contemporanee? Il Women’s Media Center ha rilevato che, in un anno di crisi multiple – le elezioni presidenziali, una pandemia in corso, l’intensificarsi della protesta nelle relazioni tra comunità e polizia, l’economia, le crisi ambientali e altro ancora – la cancellazione a freddo dei popoli nativi è ancora più evidente. Per esempio, nei cinque principali programmi di notizie della domenica mattina: “This Week” della ABC, “Face the Nation” della CBS, “State of the Union” della CNN, “Meet the Press” della MSNBC e “Fox News Sunday”, non una sola donna indigena è apparsa come ospite durante tutto il 2020.
Così il trattamento indicibile e genocida dei popoli nativi nelle Americhe, prosegue.
Anche se la conquista europea non avesse decimato le popolazioni che già vivevano nelle nazioni del Nuovo Mondo, anche se non fossero state distribuite deliberatamente coperte infettate dal vaiolo ai popoli nativi in modo che, non avendo resistenza, morissero a centinaia; anche se i bambini nativi non fossero stati strappati alle famiglie, alienati dai loro sistemi di credenze tradizionali, picchiati se parlavano la loro lingua, rasati dei loro capelli e mandati a svolgere lavori umili per i conquistatori europei – anche se non fosse successo nulla di tutto ciò, il dolore dell’invasione europea sarebbe ancora evidente oggi nel razzismo sistematico e istituzionalizzato che ha aggiunto l’insulto alla sofferenza, facendo “scomparire” un intero popolo.
Attualmente gli stati membri delle Nazioni Unite sono 193, molti più degli originari 51. Ognuno ha la sua cultura inconfondibile, le sue tradizioni, la sua lingua o le sue lingue, il suo sistema sociopolitico, il suo rapporto con la terra, il lavoro, l’arte, il cibo e così via. In effetti, molti abbracciano diverse culture al loro interno. Gli Stati Uniti sono uno di questi.
193 nazioni sono davvero tanti paesi.
Oggi, solo negli Stati Uniti, ci sono 573 nazioni riconosciute a livello federale, con più di 5 milioni di Nativi reali ed esistenti. E questo senza contare il numero originale di Nativi americani che vivevano nel Sud e nel Nord America prima della conquista, e che costituivano una popolazione grande quanto quella dell’Europa.
573 nazioni sono moltissimi paesi, ben di più.
Ci vuole un’enorme quantità di attività deliberata per rendere invisibili, e mantenere nell’invisibilità, così tante nazioni – ognuna con la propria inconfondibile cultura e lingua, il proprio rapporto con la terra, l’arte, il cibo, le proprie tradizioni e sistemi sociopolitici, e così via. I contributi che non hanno potuto dare, o che hanno dato ma sono stati ignorati, rappresentano per gli abitanti delle Americhe, e per il mondo, un’immensa perdita.
Ma ora basta. Gli abitanti originali di questo paese – i Primi Popoli – non sono più invisibili. Orgogliosamente, invincibilmente, stanno emergendo alla luce.
L’articolo è stato pubblicato sul blog di Robin Morgan il 7 febbraio 2022