di Laura Marzi
Illustrazione di Manuela De Falco
Di fronte alla porta finestra della mia cucina c’è un cortile e in mezzo un albero. È una yucca e per questo io l’ho battezzato Yucco. Non posso dire che Yucco mi abbia fatto compagnia in queste settimane: non sono di certo una di quelle che parla alle piante. Mia madre quando ero ragazzina sosteneva che al mio ingresso nel suo salotto pieno di vasi rigogliosi le sue piante tremavano. Era una esagerazione, ma lei ci credeva comunque.
Yucco è entrato nella mia immaginazione, però. Nei momenti in cui sono riemersa dall’angoscia in queste settimane mi sono trovata a fissarlo e ho immaginato che le sue radici fossero nel mio cuore, che il mio cuore allora fosse terreno fertile, per Yucco.
Il passo è stato breve per iniziare ad accostare Yucco a un’idea di marito.
In queste settimane di isolamento di me non ho capito niente di più di ciò che sapessi già: solo che queste cose che so di me sono diventate più vere, inesorabili. Nell’ultimo ciclo mestruale mi sono detta con calma e lacrime che ho vissuto la mia vita fino a oggi allontanandomi dalla possibilità di mettere al mondo dei figli. Nelle discussioni sfiancanti e angosciose col mio compagno ho visto intera la metà di me che si rifiuta di affidarsi a qualcuno: che sia per noia o tradimento io credo poco nel futuro.
Mi sono detta anche, ma brevemente, che forse cerco un uomo albero, senza sapere se esista davvero questa categoria fra le varie di cui ho sentito parlare, tipo: donna chioccia, uomo alfa… Boh. Forse cerco la stabilità di chi è radicato, addirittura immobile, di un’identità ben definita come ce l’ha Yucco: chioma florida, vari tronchi, foglie appuntite come lance.
Però io non cerco un altro uomo.
La mattina quando faccio colazione attraverso i vetri vedo Yucco, è l’immagine riflessa nel mio specchio.
In queste settimane mi sono spesso immaginata isolata nel senso più letterale possibile, su un atollo: a volte come naufraga in difficoltà, persino con un filo di barba, che mi aggiro nervosa in cerca di sopravvivenza. Altre sdraiata al sole in bikini, placida davanti alla distesa del mare. E sempre l’atollo era il mio cuore, la mia essenza, che si è manifestata in tutto il suo isolazionismo innato in queste settimane. Non mi sono sentita più sola del solito, mi sono solo sentita come sono.
L’isola è sabbiosa, il naufragio è assetato, il mare è fatto di sale.
Voglio Yucco con me e che il mio cuore diventi una foresta tropicale.