Palestina, Israele e lo stato del mondo
di Eliyahu Freedman
Illustrazione di Anna Ciammitti
Traduzione a cura di Redazione
Rilanciamo un’intervista a Noam Chomsky pubblicata su Al Jazeera e sul sito Chomsky.info il 9 aprile 2023, sei mesi prima dell’attacco di Hamas.
Il profeta Amos – che hai definito il tuo preferito – parla di “tre peccati che perdonerò e il quarto che non perdonerò”. Quali sono i peccati che vedi accumularsi nella società?
Il discorso si farebbe troppo lungo. Cominciamo con l’ovvio. Sono sicuro che tu abbia familiarità con l’orologio dell’apocalisse del Bulletin of Atomic Scientists. Ora è stato spostato avanti a 90 secondi a mezzanotte. La mezzanotte come fine dell’esperienza umana sulla Terra, in corsa verso la guerra nucleare. La minaccia di un disastro climatico è sempre più imminente, Israele sarà una delle principali vittime.
Il peccato più grave dei nostri leader è correre verso il disastro. Negli USA stiamo proprio adesso commemorando il 20° anniversario dell’invasione americana dell’Iraq, il peggior crimine del secolo. La Marina degli Stati Uniti ha appena commissionato la sua più recente nave d’assalto e l’ha chiamata USS Fallujah in memoria di una delle peggiori atrocità dell’attacco statunitense. Fallujah era stata una bellissima città. I marines l’hanno invasa, l’hanno distrutta, hanno ucciso migliaia di persone. La gente continua a morire a causa delle armi al fosforo e uranio impoverito.
Non è solo atroce, è simbolico. Guardiamo se negli ultimi 20 anni riusciamo a trovare nel mainstream una solo frase che affermi che l’invasione dell’Iraq è stata un crimine. Al massimo si dice che si è trattato di un “errore”. Il crimine è stato riconfigurato per essere presentato, anche dai commentatori liberal, come un tentativo fallito di salvare il popolo iracheno da un dittatore malvagio, il che non ha nulla a che fare con il motivo per cui era iniziata la guerra.
Inoltre si trascura un piccolo fatto: gli Stati Uniti hanno fortemente sostenuto Saddam Hussein durante il periodo in cui ha commesso i suoi crimini più orribili, tra cui l’avvelenamento degli iracheni e il massacro di Halabja, l’uso delle armi chimiche, l’uccisione di centinaia di migliaia di iraniani. Gli Stati Uniti ne erano entusiasti e lo hanno sostenuto fino in fondo.
E ora la storia viene raccontata come se stessimo cercando di “salvare gli iracheni” dalla persona che prima sostenevamo con forza. Gli iracheni non chiedevano certo di essere salvati dal paese che negli anni ’90 aveva imposto sanzioni così feroci che alcuni importanti diplomatici internazionali si dimisero perché le consideravano genocide. Ma è così che le classi intellettuali sono riuscite a ricostruire i crimini di Stato. Ci sono persone che si oppongono ma non senti la loro voce, vengono emarginate. Vuoi saperne di più sulla USS Fallujah? Non lo leggerai sulla stampa americana. Puoi leggerlo nei commenti critici ai margini dove persone come me hanno potuto scoprirlo, non dalla stampa americana, ma da Al Jazeera.
Poco dopo l’elezione di Netanyahu nel 1996, avevi predetto che il passaggio dal Labour al Likud sarebbe stato più di forma che di sostanza e che, alla fine, l’altamente americanizzato Netanyahu avrebbe adottato uno stile più gradito agli americani. Guardando indietro all’era Netanyahu, queste previsioni erano corrette?
Per qualche anno sì, più o meno. Ma nel corso degli anni 2000, la politica israeliana è cambiata e Netanyahu si è spostato molto più a destra. Sa ancora come parlare ai suoi sostenitori negli Stati Uniti. Bisogna ricordare che l’opinione negli USA riguardo a Israele è cambiata. Israele era il beniamino della comunità ebraica americana liberal.
Ora la principale sostenitrice di Israele è la comunità evangelica di estrema destra che si è politicizzata negli ultimi 20 o 30 anni, per lo più in risposta a punte estreme di antisemitismo. Nel frattempo, i democratici liberal si sono allontanati. Guardiamo l’ultimo sondaggio: tra i democratici c’è più simpatia per i palestinesi che per Israele. Ciò è particolarmente vero tra i più giovani, compresi i giovani ebrei.
Netanyahu capisce gli Stati Uniti, quindi fa appello con forza al suo collegio elettorale di destra e di estrema destra. Quando è andato a parlare in una sessione congiunta del Congresso per condannare la mossa di Obama di stabilire un accordo congiunto con l’Iran sulle armi nucleari, si stava rivolgendo alla comunità americana che lo sostiene, l’ala destra, l’estrema destra e gli evangelici. È un politico abile, ha cambiato tattica.
Hai detto che le azioni più illegali di Israele sono possibili solo grazie al sostegno degli Stati Uniti. Eppure vediamo Netanyahu mettere pubblicamente in imbarazzo il Partito Democratico con il discorso davanti al Congresso nel 2015, con il sostegno pubblico alla rielezione di Donald Trump nel 2018 e la recente diatriba con il presidente Biden. Netanyahu sa qualcosa che noi non sappiamo sul declino del potere globale americano? Oppure sta scommettendo sul continuo sostegno bipartisan degli Stati Uniti nonostante il suo comportamento?
Gli Stati Uniti sono sempre più divisi, così come lo è Israele. Questa è la prima volta che la leadership israeliana rompe apertamente con la leadership statunitense. Quando Smotrich, Ben-Gvir e talvolta Netanyahu dicono alla leadership americana “Non terremo conto di ciò che vuoi” apertamente e sfacciatamente, questa è una novità.
Recentemente, Israele può non aver gradito le politiche statunitensi ma quando gli USA gli hanno chiesto di fare qualcosa, lo ha fatto. È andata così con ogni presidente fino a Obama. Trump, innamorato del potere, della violenza e della repressione israeliane, ovviamente ha fatto di tutto per offrire a Israele tutto ciò che voleva. Ha riconosciuto l’annessione delle Alture del Golan e di Gerusalemme, ha sostenuto politiche di insediamento in violazione non solo del diritto internazionale ma della politica statunitense. Gli Stati Uniti avevano sostenuto le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che vietavano la conquista israeliana delle Alture del Golan e di Gerusalemme. Trump ha ribaltato tutto. Ha fatto la stessa cosa con il Marocco, riconoscendo l’acquisizione da parte del Marocco del Sahara Occidentale, il che è in qualche modo analogo alla situazione palestinese.
Ma la nuova amministrazione israeliana, soprattutto figure di spicco come Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, stanno semplicemente dicendo agli Stati Uniti: “Andate al diavolo”. Netanyahu ha fatto dichiarazioni piuttosto forti, dicendo: “Siamo un paese sovrano, faremo quello che vogliamo”. È la prima volta che il confronto è così esplicito e non è chiaro come risponderanno gli USA.
Due o tre anni fa Betty McCollum, membro della Camera dei Rappresentanti, ha proposto una legislazione per chiedere di riconsiderare gli aiuti militari a Israele alla luce della legge statunitense, regolarmente violata dagli aiuti stessi. Non ha fatto molta strada.
Recentemente, anche Bernie Sanders ha proposto una legislazione che preveda il divieto degli aiuti americani a Israele, chiedendo un’inchiesta sul possibile conflitto con le leggi statunitensi che vietano gli aiuti militari a qualsiasi paese coinvolto in violazioni dei diritti umani. L’IDF (esercito israeliano) è coinvolto in queste violazioni, quindi se si aprisse un’inchiesta, potrebbe portare a un dibattito sulla legalità degli aiuti statunitensi a Israele.
Penso che tutte queste cose potrebbero portare a grandi cambiamenti in futuro. La mia convinzione si basa in larga misura su cambiamenti sostanziali nell’opinione pubblica. Posso dirlo per esperienza personale, ho tenuto conferenze e scritto sulle questioni israelo-palestinesi. Fino a poco tempo fa dovevo avere la protezione della polizia se tenevo un discorso in un campus, a causa del violento antagonismo delle forze filo-israeliane. La polizia insisteva per accompagnarmi alla macchina dopo il discorso, perché era pericoloso. Anche nel mio campus, la polizia cittadina e quella del campus erano presenti se parlavo. La situazione è cambiata radicalmente.
Il momento in cui è cambiata è facilmente identificabile: Operation Cast Lead (27 dicembre 2008/18 gennaio 2009). È stata un’operazione così brutale, violenta, che i giovani non ce la facevano più. Penso che sia stato un vero punto di svolta. Lo si poteva vedere chiaramente nei discorsi che circolavano nei campus, anche quelli fortemente filo-israeliani come la Brandeis University. Sono cambiati molto bruscamente. Questi atteggiamenti dei giovani avranno un grande effetto su tutti noi in futuro. Si stanno preparando dei conflitti. Non lo si vede ancora nella politica, ma penso che se ne possano vedere gli inizi.
Hai criticato la Corte Suprema israeliana perché considera Israele lo Stato sovrano del popolo ebraico, ma non come lo Stato dei suoi cittadini. Allo stesso tempo, hai sottolineato alcuni casi in cui la Corte ha protetto i diritti dei palestinesi, come il caso del 2000 in cui ha ritenuto che gli insediamenti di Katzir, costruiti attraverso l’Agenzia Ebraica per Israele, non potevano legittimare la discriminazione contro una coppia palestinese e ha stabilito che i palestinesi non potevano essere esclusi dalla comunità. Qual è la tua impressione generale sulla Corte?
La Corte Suprema israeliana ha un bilancio ragionevolmente buono per quanto riguarda i cittadini ebrei di Israele. Non altrettanto per quanto riguarda i palestinesi in Israele. Ci sono stati alcuni casi favorevoli, come il caso di Katzir che hai menzionato, ma era il 2000. Per la prima volta, nel 2000, la Corte ha concluso che un accordo non può escludere i cittadini israeliani che sono palestinesi. È scioccante che sia successo così tardi. E infatti, a quanto pare, la comunità di Katzir ha trovato il modo di eludere la decisione. Penso che la famiglia palestinese non sia riuscita a entrare per una mezza dozzina di anni e che siano stati messi in atto altri espedienti per cercare di aggirare la decisione.
All’interno di Israele vero e proprio la Corte, pur non essendo al di sopra delle critiche, ha un andamento abbastanza dignitoso, mentre nei territori occupati è terribile. (…) La Corte Suprema israeliana è l’unico organo giudiziario al mondo che non riconosce l’esistenza di un’occupazione, li tratta semplicemente come territori amministrati. Ciò è stato respinto dalla Corte Mondiale e da ogni governo che conosco, compresi gli Stati Uniti e la Croce Rossa. La Corte Suprema ha regolarmente autorizzato insediamenti e misure di occupazione illegali, brutali restrizioni sui palestinesi all’interno dei territori occupati, episodi di violenza quasi quotidiani. A volte ritarda un po’ l’azione. Ma il bilancio generale è scioccante.
Tu sostieni da tempo una soluzione binazionale al conflitto israelo-palestinese, basata sul consenso internazionale. Credi ancora che la soluzione dei due Stati sia la più auspicabile?
C’è un grande dibattito tra il consenso internazionale ai due Stati e l’alternativa di un solo Stato, che è sempre più sostenuta da molti commentatori, compresi quelli ben informati come per esempio Ian Lustick negli Stati Uniti.
Ma c’è qualcosa che non va in questo dibattito. Si sta omettendo una terza alternativa, vale a dire quella che viene sistematicamente implementata da Israele a partire dal 1969 o giù di lì, ovvero la creazione di un “Greater Israel”, che prenderà il sopravvento. Tutto ciò che interessa a Israele taglierà fuori la popolazione palestinese.
Israele non vuole incorporare Nablus in quello che sarà il “Greater Israel”. Deve mantenere un’ampia maggioranza ebraica in uno Stato razzista e dominato dagli ebrei. Ciò significa prendere il controllo della Valle del Giordano, cacciare via la popolazione e con qualche pretesto trasformarla in insediamenti ebraici. Si impadroniscono di città come Maale Adumim, in piena Cisgiordania, città costruite per lo più negli anni ’90 con alloggi piacevoli sovvenzionati dallo Stato. Puoi andare dalla tua villa di Maaleh Adumim al tuo lavoro a Tel Aviv e non sapere nemmeno che ci sono i palestinesi. Ormai, i palestinesi rimasti nelle regioni che Israele sta integrando e progettando di conquistare sono divisi in circa 160 piccole enclavi circondate dalle forze israeliane, che possono o meno consentire ai palestinesi di prendersi cura dei loro raccolti e del loro bestiame, di raccogliere le olive e così via. Sono praticamente imprigionati.
L’idea è provare a vedere come sbarazzarsi di loro in qualche modo, per convincerli a lasciare condizioni intollerabili. Nel frattempo, recentemente, il governo religioso nazionalista di estrema destra ha esteso il diritto di insediamento israeliano alla Cisgiordania nordoccidentale, quella che Israele chiama Samaria occidentale, cercando di integrare tutto ciò che gli interessa all’interno dei territori occupati. Oggi Gerusalemme è forse cinque volte quella che era storicamente, inglobando i villaggi circostanti per garantire una maggioranza ebraica. Ci sono dei meccanismi, non solo formali, lenti, passo dopo passo… difficili da rilevare. Ormai i giovani israeliani non sanno nemmeno che esiste una Linea Verde.
Se vuoi parlare di risultati a lungo termine, non puoi parlare solo di uno Stato e due Stati. Devi parlare di quello che sta succedendo, del “Greater Israel”. Capisco il ragionamento dei sostenitori dello Stato unico, ma penso che sia quasi inconcepibile che Israele accetti mai di autodistruggersi e diventare una popolazione minoritaria ebraica in uno Stato dominato dai palestinesi, che è ciò che indica la demografia. E non c’è supporto internazionale per questo. Quindi la mia sensazione personale è che le vere opzioni siano il “Greater Israel” o il passaggio a un qualche accordo a due Stati. Spesso si sostiene che ciò sia ormai impossibile a causa dell’enorme progetto di insediamento. Forse sì forse no. Penso che se gli Stati Uniti insistessero, decidendo di unirsi al resto del mondo nel sostenere una soluzione a due Stati, non solo retoricamente, ma in pratica, Israele dovrebbe prendere una decisione molto seria.
Bisogna guardare alla politica israeliana degli ultimi 50 anni. Torniamo agli anni ’70, quando furono prese le decisioni fondamentali. In quegli anni, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite stava discutendo una risoluzione che prevedeva la creazione di due Stati, sul confine internazionale, forse con alcune piccole modifiche, comunque due Stati in cui ci fosse la garanzia del diritto di ciascuno a vivere in pace e la sicurezza all’interno di confini riconosciuti.
Israele si oppose con veemenza. Yitzhak Rabin, delegato all’ONU, denunciò con rabbia la proposta. Israele rifiutò perfino di presenziare alle sessioni. Fu sostenuto da Egitto, Giordania, Siria, i cosiddetti “Confrontation States”. C’è un lunga storia internazionale, votazioni nell’Assemblea Generale per risoluzioni simili, con voti come 150 a 3, Stati Uniti, Israele e stati dipendenti dagli Stati Uniti. Negli anni ’70 Israele ha deciso, ha preso la fatidica decisione di preferire l’espansione alla sicurezza. Questo significava che dipendeva per la sua sicurezza dal sostegno degli Stati Uniti. Questo è il patto. Se scegli l’espansione invece della sicurezza, dipendi da uno Stato potente. Se gli Stati Uniti cambiassero la loro politica, Israele si troverebbe di fronte a scelte difficili.
Pochi intellettuali hanno causato maggiori controversie di te. Hai qualche rimpianto per qualcuna delle posizioni che hai preso o non hai preso?
Per non averle prese, sì. Non ritirerei quelle che ho preso, ma ci sono molte cose che avrei dovuto fare e non ho fatto. Sono stato, per gli standard americani, uno dei primi oppositori della guerra del Vietnam. All’inizio degli anni ’60 mi impegnai molto nell’opposizione alla guerra ma era troppo tardi. Avrebbe dovuto essere 10 anni prima, quando gli Stati Uniti iniziarono a sostenere lo sforzo francese di riconquistare la loro ex colonia e, quando i francesi fallirono, gli Stati Uniti subentrarono, minando gli Accordi di Ginevra, creando uno Stato vassallo nel Vietnam del sud che uccise 60 o 70 mila persone. È allora che avrebbe dovuto cominciare la protesta. Fino alla fine degli anni ’60 non esisteva un’opposizione realmente organizzata. Quello che succedeva era criminale e avrei dovuto iniziare prima. Lo stesso per altre cose.
Prendiamo Israele, la questione principale della mia vita fin dalla prima infanzia. Ho cominciato a parlare pubblicamente della natura criminale delle azioni di Israele nel 1969. Avrei dovuto farlo molto prima. Conoscevo la repressione della popolazione palestinese. L’avevo vista in prima persona. Nel 1953, ho vissuto in Israele per un paio di mesi in un kibbutz, spazi che a quel tempo erano la base per l’apertura alla comunità araba e palestinese. Conoscevo l’arabo quanto bastava per seguire la conversazione. E viaggiai a volte con la persona che nel kibbutz gestiva i contatti con gli arabi. Andavo con lui nei villaggi, ascoltavo le lamentele degli abitanti che non potevano attraversare la strada per parlare con le persone in un kibbutz amico, a meno che non andassero a lottare per ottenere l’autorizzazione ad attraversare.
Ho potuto anche vedere gli atti di repressione e gli insulti alla popolazione ebraica marocchina non ashkenazita. Avrei dovuto parlare di tutte queste cose. Mi sono impegnato solo dopo la guerra del ’67 quando Israele ha avviato le sue politiche di insediamento e sviluppo nei territori occupati, che si sono ampliate e hanno portato alla situazione attuale. Sono stato troppo mite nelle mie critiche e le ho fatte troppo tardi.
Abraham Joshua Heschel, anch’egli fortemente contrario alla guerra in Vietnam, definì un navi (profeta) come ‘una persona sofferente la cui vita e la cui anima sono in gioco in ciò che dice, ma che è anche capace di percepire il sospiro silenzioso dell’angoscia umana’. Mentre gli altri riflettono sulla tua carriera, sarebbe esatto descrivere Noam Chomsky come un navi?
Cos’è un navi? È una parola oscura di origine oscura. Probabilmente un prestito accadico, ma nessuno lo sa con certezza. Le persone chiamate navien erano più o meno analoghe a quelli che oggi potremmo chiamare intellettuali dissidenti. Erano persone che condannavano l’analisi geopolitica, avvertivano che i Re Malvagi stavano conducendo il popolo ebraico al disastro, condannavano i crimini e la brutalità dei re, invocavano misericordia per le vedove e gli orfani.
I navien dicevano le cose chiamate oggi opinioni intellettuali dissidenti e sono state trattati come lo sono di solito gli intellettuali dissidenti: male. Cacciati nel deserto. Imprigionati. Eliyahu fu chiamato Odiatore di Israele perché osò condannare gli atti del Re Malvagio. È una storia familiare, che ha le sue risonanze nel corso dei secoli fino ai giorni nostri. Ovviamente non siamo a 2.500 anni fa, è un mondo diverso ma con alcune caratteristiche simili.
C’è qualcosa nella tua casa che è un ricordo fisico di uno dei tuoi viaggi in Israele e Palestina?
Ho un souvenir fisico. L’ho raccolto nel campo profughi di Kalandia mentre era sotto il coprifuoco militare durante la prima Intifada. Con un paio di amici israeliani e palestinesi, sono riuscito a lavorare attraverso una strada secondaria. Abbiamo potuto camminare nel campo per un po’ prima di essere prelevati da una pattuglia israeliana. Ho parlato con le persone che erano chiuse nelle loro case laggiù, oltre le recinzioni. Ho preso una bomboletta, non sono abbastanza esperto di questioni militari per dire cosa fosse, presumo fosse una bomboletta di gas lacrimogeno lasciata dalle forze israeliane che l’avevano usata per l’attacco. Quindi questo è un ricordo di un periodo non piacevole.
E cosa rappresenta?
Rappresenta la dura e brutale repressione nei territori occupati da ormai oltre 50 anni, che diventa sempre più violenta. Ci sono casi quasi quotidiani di un tipo o l’altro di violenza, intimidazione, repressione. L’esercito israeliano sta a guardare, a volte partecipa. Se vai in un posto come Hebron, è scioccante.
E a Gaza, ovviamente, è molto peggio. Sono stato a Gaza tra un attaco israeliano e l’altro. È un crimine vergognoso. Oltre due milioni di persone sono praticamente imprigionate. Niente acqua potabile, sistema energetico, sistemi fognari distrutti dalla violenza israeliana. I pescatori non possono spingersi più di un paio di chilometri al di là delle acque infettate dai liquami: le cannoniere israeliane glielo impediscono. È uno dei maggiori crimini del periodo moderno. Le Alture del Golan. Nessuno ne parla più. Sono state appena conquistate in violazione della decisione unanime del Consiglio di Sicurezza, annullata da Trump. Tutte queste cose sono l’attuale Israele.