Cronache di una cittadina trapiantata su un selvaggio bricco del cuneese
di Manù
Mi par di capire che la moltitudine ha bisogno di sentirsi tale e non può fare a meno di andare tutta negli stessi posti, nello stesso momento a fare la stessa cosa. Poi scatta il bisogno di condivisione di attimi privati, cosicché la rete si riempie di pizze ai peperoni mangiate su una panchina con il nuovo fidanzato, l’ultimo paio di scarpe di pitone con tacco sedici acquistato nel negozio di tendenza, la visita del nipote che non si vedeva da quindici anni.
Però quando necessita collaborare per un fine comune niente da fare, non ci si riesce, ognuno per sé, tutti contro tutti.
E il senso pratico?
Qui, a parte i miei due vicini ottuagenari, siamo in tre nel raggio di sei chilometri.
Non ci si frequenta, non ci si telefona per fare amena conversazione, non ci si scambiano foto, mail o whatsapp, ma non ci si muove mai senza tener presente che ci sono altri due che possono aver bisogno di qualcosa.
Questo vale anche per quelli laggiù, in paese.
La signora delle poste si fa in quattro per risolvere quanto possibile senza farmi scendere a valle, il tabaccaio ha inserito nelle sue referenze il mio tabacco preferito e tutti i negozianti sono disposti a portarmi la spesa se non posso andare a prenderla.
Interesse comune.
Con le istituzioni, invece, tutto nella norma.
Essendoci di mezzo delle spese che superano gli introiti, bisogna sollecitare per far arrivare lo spazzaneve, i bidoni della spazzatura sono sempre stracolmi e la strada che arriva fin qui fa concorrenza a un pezzo di gruviera per il numero di buchi.
Siamo troppo pochi perché ci sia un interesse a farci star bene.
Un tempo il mio vicino cieco aveva quattro pecore da compagnia. Bettina, Bianchina, Nerina e Giacomina.
Evidentemente le pecore devono avere un nome che finisce per -ina.
Erano fantastiche, enormi e bellissime e conosciute in tutta la vallata per essere le uniche pecore viziate e coccolate come fossero le nipotine di una famiglia reale.
Il mio vicino le aveva prese per tenere il prato rasato, ma siccome ci vedeva già poco e non riusciva a portarle al pascolo la sera, andò a finire che l’erba gliela tagliava lui e gliela portava, scegliendo naturalmente quella che gradivano di più.
Ricordo che a Bettina una volta si bloccò il rumine e rischiò di morire.
Il vicino, disperato, convocò non uno ma ben tre veterinari. Mentre si consultavano sul da farsi, operiamo o non operiamo, arriva un autoctono che dopo averli ascoltati in silenzio guarda il mio vicino e dice: “ Dalle del vin brûlé bianco”.
E così fu che il rumine si sbloccò.
Il rapporto che si crea con due gatti è molto diverso da quello che si crea con uno.
Bibo e Baby, cresciuti insieme, per quanto possano essere simpatici e affettuosi si fanno fondamentalmente gli affari loro.
Giocano assieme, fanno la lotta, vanno a esplorare territori ancora sconosciuti, studiano il nuovo guaio in cui andare a cacciarsi.
Linda, che passa gran parte del tempo nei suoi appartamenti da sola per evitare le vessazioni di tutti, gatta e cane dei vicini compresi, mi ha adottata come compagna di giochi, guida e mamma protettiva.
Non uscendo volentieri da sola mi aspetta, tre volte al giorno, per farsi un giretto.
La porto a spasso come un cane, cosa che non faccio con Michi che di uscire al freddo non ne ha nessuna voglia.
Al mattino andiamo assieme dalle galline che lei guarda esterrefatta con occhi sbarrati, intuendo nei pennuti possibili prede ma non capacitandosi del fatto che siano tre volte più grandi di lei.
Corre, esplora e si arrampica assicurandosi sempre che io sia nei paraggi.
Ieri mattina è salita in cima a un pino e poi non riusciva più a scendere.
Cretina.
Mentre mi chiamava con miagolii disperati ho cercato di spiegarle che non sempre potevo toglierla dai guai, che non avevo nessuna intenzione di rischiare di rompermi l’osso del collo per recuperarla e che, essendo lei gatta e io no, non spettava a me trovarle una via per scendere.
Fatto il discorso sono andata via ma ho resistito solo venti minuti prima di tornare a vedere come se la stava cavando.
Era ancora là, invece di scendere era salita di più, ma vedermi le ha dato coraggio ed esortata dalle mie parole, rametto dopo rametto, in maniera un po’ rocambolesca e maldestra, è scesa.
Mi fa una tenerezza incredibile e grazie a lei durante l’ultimo giretto serale godo di uno splendido spettacolo notturno, e mi stupisco ancora di quanto il buio sia buio e di quante stelle ci siano nel cielo.
Qualcuna cade anche.
La città non mi manca anche se, avendone la possibilità un viaggetto a New York me lo farei.
Così, tanto per aprirmi a nuovi orizzonti.
Ma dove sono finiti i caprioli, gli scoiattoli, le volpi?
Da tempo non vedo più nessuno.
La neve deve averli spinti più in basso.
Nonostante il divieto di cacciare quando c’è la neve, il mercoledì e la domenica, giorni di attività venatoria, sento sparare. Molto sleale, con la neve gli animali si vedono a chilometri e non hanno possibilità di scampo.
Non nutro nessuna simpatia per questi maschi (mai vista tra loro una donna, finora) vestiti da Rambo, armati fino ai denti e che hanno il permesso di avvicinarsi alle case se la proprietà non è recintata.
Alcuni si professano amanti della natura e degli animali e te la menano che l’istinto di caccia è una cosa naturale, sempre esistita, e che l’ importante è avere rispetto.
Ma iniziassero ad avere rispetto della bistecca che gli langue nel frigo.
C’è chi sostiene che la caccia sia necessaria per tenere sotto controllo il numero di certi animali che in esubero fanno danni all’ambiente.
Peccato che gli animali vengano inseriti proprio a uso e consumo dell’attività venatoria e quindi se sono in esubero di solito è colpa dell’umana presenza.
Oltretutto i cacciatori sparano a qualsiasi cosa si muova senza prima guardare, quindi ho paura per i miei gatti, cani galline e anche per me se vado in giro nei giorni x.
Ogni tanto per questo motivo si sparano tra di loro.
No comment.
Pro e contro del vivere in un luogo isolato, lontano, dall’orizzonte lungo.
Pro
Spazio.
Ossigeno.
Silenzio.
Quando vedo qualcuno è volentieri.
La probabilità di contagio da Covid, influenza, orecchioni, scabbia è molto remota.
Se mi invitano a un matrimonio sono giustificata a non andarci.
Posso accendere il frullatore alle tre del mattino.
Non uso più il verbo “stirare”.
Nessuna tendina alla finestra si frappone più tra me e il mondo esterno.
Non ti mettono i volantini in buca.
Avendo la possibilità di guardare lontano ci sono buone probabilità che la vista migliori.
Contro
I bidoni della spazzatura sono molto lontani, lontanissimi.
Se hai bisogno di un qualsiasi tipo di servizio, aspetti. A volte speri anche.
Se incroci qualcuno che non ti è simpatico non puoi far finta di non vederlo.
Se hai voglia di un gelato tendenzialmente te la tieni.
Se ti rompi una gamba e il cellulare contemporaneamente sei fregato.
I pro superano di gran lunga i contro.
Ok.
Sto qui.
In città avevo una vicina di mansarda molto indigente.
Un dì venne a darmi la buona novella che aveva trovato un lavoretto.
Era felice e preoccupata.
– Sai, adesso che ho qualche soldo mi sono accorta che una serie di cose di cui facevo a meno ora mi sembrano indispensabili. Voglio comprarmi un tostapane. Non è che tra un po’ mi salta in mente di aver bisogno di un’ automobile? –
Il luogo in cui si vive determina i bisogni.
Di solito, più cose si hanno e più si ha bisogno di averne.
In un eremo immerso nella natura possono accadere due cose opposte.
Se i contatti con il mondo “civile” sono frequenti, le esigenze crescono. Se già erano indispensabili una super connessione, un guardaroba ben fornito, una serie di prodotti per il corpo e l’ammorbidente per il bucato, il dover tener testa alla natura ti tenta a possedere qualsiasi ritrovato moderno per risolvere in fretta e senza fatica una serie di annose faccende. Quindi inizi a guardare i prezzi dei robot tosa-prato, degli spaccalegna automatici, dei soffioni per le foglie e via di questo passo.
Se ti muovi poco e non vedi quasi mai nessuno, invece, anche oggetti e prodotti che sono di uso quotidiano da anni lentamente iniziano a sembrarti superflui.
Dei venti pantaloni che hai nell’armadio ne metti solo più due, usi il sapone di Marsiglia anche per lavarti i capelli e tagliarsi le unghie dei piedi diventa un evento.
Se continuo così, non escludo che un giorno qualcuno venendo qui possa trovarmi vestita di piume di gallina intenta a grattarmi il sedere contro il tronco di un albero emettendo piccoli grugniti di gioia.
Foto di Manù e Andrea Ferrante