Cronache di una cittadina trapiantata su un selvaggio bricco del cuneese
di Manù
Dopo essere stata intrattabile e collerica per giorni, una sera Linda mi è saltata in braccio, affettuosa e languida come non mai, per farsi accarezzare.
Me ne sono andata a dormire tranquilla, lasciandola in quello stato di beatitudine.
La mattina dopo, quando sono scesa, erano in due. Li ho trovati sulla mia poltrona preferita. Dormivano beati. Tutto in ordine, tutto pulito, non una traccia del parto.
In cucina adesso c’è un piccolo mondo a parte, colmo di delicatezza e tenerezza.
Linda e il suo piccolo.
Aleggia intorno a loro una sensazione di sospensione dove il tempo scorre silenzioso e fluido.
Io vado a rifugiarmi lì più volte al giorno, per sfuggire a quell’altro, di mondo.
Siamo in due a essere eternamente grati a Linda per aver fatto un cucciolo solo.
Una sono io, per ovvi motivi, e l’altro è il suo piccoletto che ha tutto il latte per sé e si vede dove lo mette.
Cresce a vista d’occhio ed è grasso come un porcellino d’india.
Era già molto grande appena nato, un etto di gatto, adesso dopo 9 giorni ne pesa due e mezzo.
Linda è molto orgogliosa e fiera. Lo guarda, mi guarda, lo guarda.
E fa dei piccoli versi deliziati.
Se gli altri gatti Bibo e Baby hanno la malaugurata idea di intrufolarsi in cucina, lei diventa una furia, gli vola addosso e li fa scappare a gambe levate.
I tempi in cui le correvano dietro e lei fuggiva sono finiti. E ben gli sta, disgraziati.
Il cane Michi viene tollerato purché rimanga a una distanza di sicurezza. Lui, saggiamente, esegue.
Dovrò trovargli un nome.
Sarà un maschio o una femmina?
Se è una femmina voglio chiamarla Agata.
Però credo che sia un maschio. Inizialmente ho pensato di chiamarlo Tito.
Poi ho cambiato idea e ho avuto un’illuminazione. Come posso chiamare il figlio di Linda?
Lindo!
Bibo e Baby, Linda e Lindo.
E che non se ne parli più.
Il decimo giorno ha aperto gli occhi.
Se è possibile è ancora più bello.
Foto di Manù e Andrea Ferrante