La crisi del giornalismo USA

di Robin Morgan
Illustrazione di Doriano Solinas
Traduzione di Margherita Giacobino

Seri studi sono in corso da parte di fonti attendibili: Pew Research Center, Columbia Journalism Review con TOW Center for Digital Journalism, Reuters Institute for the Study of Journalism e così via.

Alcuni fatti: negli Stati Uniti l’occupazione nelle redazioni dei giornali continua a crollare, si è ridotta di metà circa rispetto al 2008. Tra tutte le aziende analizzate dal Bureau of Labor Statistics – giornali, radio, tv via cavo e digitale – una notevole crescita dei posti di lavoro si è verificata solo nel settore delle notizie digitali; dal 2008, il numero di dipendenti delle redazioni digitali è più che raddoppiato, passando da 7.400 a circa 16.100 lavoratori nel 2019. Sinclair, la compagnia pro-Trump e arci-conservatrice che sta prendendo il controllo delle notizie radiotelevisive locali in tutto il paese, avanza a un ritmo ostile e mozzafiato. Sinclair raggiunge già il 40% delle famiglie – e presto raggiungerà il 72%. in un terrificante stile “1984” i conduttori dei programmi di tutte le affiliate Sinclair mandano in onda parole quasi identiche. Il Pew Research Center l’anno scorso ha scoperto che per informarsi il 37% degli americani si affida spesso alla TV locale, una cifra non molto lontana da quel 45% di americani che ricorrono a Facebook, e maggiore di quel 33% che si rivolge invece ai siti web e alle app, mentre il 28% guarda i notiziari via cavo, il 26% i telegiornali nazionali notturni, e – attenzione – solo il 18% legge ancora giornali stampati.

Forse in seguito potremo affrontare le altre nuove fonti, ma per ora voglio concentrarmi sulla stampa. Ondate successive di assalti tecnologici ed economici hanno distrutto il modello di business for-profit che ha sostenuto il giornalismo locale in questo paese per due secoli. Centinaia di organizzazioni di informazione, giornali vecchi di secoli, ma anche siti digitali appena nati, sono scomparsi. Il tradizionale modello di business che una volta sosteneva i giornali locali, facendo affidamento sugli abbonati e sulla pubblicità per generare entrate, è diventato difficile da sostenere, dato che il pubblico delle notizie locali continua a ridursi e i dollari della pubblicità scompaiono. Tra il 2000 e il 2018, le entrate pubblicitarie dei giornali negli Stati Uniti sono crollate da oltre 70 miliardi a meno di 15 miliardi, e negli ultimi 15 anni gli Stati Uniti hanno perso 2100 giornali. Di conseguenza 1800 comunità che nel 2004 avevano un punto di informazione locale nel 2020 non ne hanno nessuno.
Perché è così importante lo stato di pericolo in cui versa il giornalismo? Dopo tutto, la globalizzazione, sotto forma di Internet, ci sovrasta. Perché non prendere le nostre notizie da lì?

Beh, per prima cosa, come abbiamo imparato amaramente, Internet e i social media sono inaffidabili in maniera devastante. Certamente online ci sono fonti affidabili di notizie, ma quelle infinitamente più popolari, come Facebook, affermano con ritrosia di essere solo piattaforme e non editori o fonti di notizie – anche se Facebook è stato responsabile di atrocità come quelle perpetrate contro i Rohingya in Myanmar, oltre ad essere uno strumento disponibile nelle mani di coloro che hanno assaltato il Congresso il 6 gennaio.

Inoltre, locale è dove viviamo. Mentre le redazioni chiudono in tutto il paese, il buon governo subisce un colpo e la partigianeria si intensifica. Le informazioni sulla politica provinciale, statale e locale, così come su quella municipale, ricevono un’attenzione pubblica sempre minore. Di conseguenza, la gente non ha le informazioni necessarie per partecipare al processo politico. La crisi dell’informazione locale ha fatto precipitare un disimpegno generale rispetto alla vita democratica (con la d minuscola) locale. Man mano che il pubblico si allontana dall’informazione locale, l’affluenza alle urne nelle elezioni statali e locali diminuisce. Le comunità che hanno perso i giornalisti vedono anche meno candidati correre per le cariche locali.

E il declino a livello locale è anche nazionale. Gli elettori delle comunità che hanno sperimentato la chiusura di un giornale sono meno propensi a discriminare, a dividere il proprio voto tra i maggiori partiti politici, e così contribuiscono alla polarizzazione politica nazionale. Mentre l’informazione locale lotta per sopravvivere e spartirsi l’attenzione dei consumatori con quella nazionale, l’informazione di parte che dà grande rilievo ai conflitti e alle partigianerie nazionali finisce per essere il pezzo forte della dieta dei consumatori di informazione.

I fondatori degli Stati Uniti sapevano tutto questo. Ricordate, erano immigrati da un paese, l’Inghilterra, dove le leggi sulle licenze controllavano strettamente la stampa, sia in patria che nelle colonie del Nuovo Mondo.
Nel 1683, William Nuthead si trasferì a Jamestown e tentò di diventare il primo tipografo della colonia. Il governatore reale Sir Thomas Culpeper e il suo consiglio si risentirono, e Culpeper scrisse al re chiedendo cosa fare (questo avveniva prima che le leggi sulle licenze fossero abolite). La risposta del re Carlo II proibì specificamente la stampa in Virginia. Questo permise al Maryland di avere una tipografia operativa prima della Virginia, cosicché Nuthead si trasferì e impiantò la sua attività a St. Mary’s City. La Virginia dovette aspettare altri 47 anni prima di avere un tipografo, ma nel 1730 William Parks, del Maryland, si trasferì a Williamsburg per aprire la sua tipografia e negli anni 1760 la Virginia aveva due tipografie operative. Nelle 13 colonie c’erano 24 giornali settimanali, tutti locali. Con così tanti stampatori in tutte le colonie, gli attacchi satirici al governo divennero moneta corrente.

Nel frattempo in Inghilterra, nel 1644, la prima audace critica alle leggi sulle licenze venne dal poeta e agitatore John Milton nel suo pamphlet Areopagitica: un discorso del signor John Milton per la libertà di stampa senza licenza, diretto al Parlamento d’Inghilterra. Ma le leggi sulle licenze vennero abrogate solo nel 1694, e anche allora non senza restrizioni, perché poi entrò in gioco la Seditious Libel Law, che rendeva un crimine pubblicare qualsiasi cosa fosse irrispettosa verso il re, lo Stato, la Chiesa o i loro funzionari. Questo valeva anche per le colonie americane.

Nel 1734, John Peter Zenger, un tipografo di New York, sfidò quella legge quando fu citato in giudizio con l’accusa di sedizione dal governatore William Cosby. La sua risposta fu semplicemente che la verità è una difesa contro la diffamazione. Zenger vinse la causa. La stampa sia a Williamsburg che a Norfolk, in Virginia, denunciò apertamente il coinvolgimento del governatore reale nel “Gun Powder Incident”, quando il 20 aprile 1775 nel cuore della notte il governatore prese la polvere da sparo delle colonie. Questo evento ebbe luogo il giorno dopo che furono sparati i primi colpi a Lexington e Concord, il 19 aprile. Nel settembre del 1775, quando la stampa a Norfolk fu messa sotto sequestro, le Colonie erano in aperta rivolta.
Fra i 13 Stati originali, solo otto considerarono la libertà di stampa abbastanza importante da scriverla nelle loro leggi. Erano: Massachusetts, Pennsylvania, Maryland, Virginia, North Carolina, South Carolina, Georgia e Vermont.

Ma lasciamo che i fondatori parlino da soli.
“La libertà di stampa è essenziale per la sicurezza dello Stato.”
John Adams

“La libertà di stampa consiste… nel pubblicare la verità, per buoni motivi e per fini giustificabili, anche se si riflette sul governo, sui magistrati o sugli individui. Se non è permessa, esclude il privilegio di propagandare e discutere gli uomini [sic], e i nostri governanti.”
Alexander Hamilton

“Se tutti gli stampatori fossero decisi a non stampare nulla finché non fossero sicuri che non offenderà nessuno, ci sarebbe ben poco di stampato.”
Benjamin Franklin (lui stesso stampatore)

E come al solito, il loquace ed eloquente Thomas Jefferson:
“Alla stampa da sola, nonostante gli abusi di cui si macchia, il mondo è debitore di tutti i trionfi che sono stati ottenuti dalla ragione e dall’umanità sull’errore e l’oppressione.”
“Se spettasse a me decidere se dovremmo avere un governo senza giornali o giornali senza governo, non esiterei un attimo a preferire la seconda ipotesi.”
“L’unica sicurezza di tutti sta in una stampa libera.”

*L’articolo è stato pubblicato il 24 maggio sul blog di Robin Morgan

 

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