di Fabrizio Tonello
Installazione di Noura Tafeche
Se alcune centinaia di persone scendono in piazza a Bologna scandendo “Liberté!” come parola d’ordine, cosa dobbiamo pensare? Forse quelle persone rivendicano qualcosa che non hanno, qualcosa che disperatamente vorrebbero, qualcosa a cui pensavano di avere diritto. A Bologna, il 14 ottobre, erano i migranti rinchiusi nei cosiddetti centri di prima accoglienza a gridare “Liberté!” ma migliaia di persone hanno manifestato in Francia, negli Stati Uniti, in Italia per la libertà di manifestare per la pace e per la Palestina. Sì, per la Palestina, che è cosa diversa da Hamas, come Israele è cosa diversa da Benjamin Netanyahu. Una libertà di manifestare che è oggi in pericolo precisamente nei paesi dove il grido “Liberté!” è risuonato per la prima volta, insieme a Egalité e Fraternité (Francia, 1789) e dove il diritto di protestare è stato inserito nella Costituzione (Stati Uniti, primo emendamento, 1791).
Da Londra a Roma e da Parigi a Washington, la libertà di manifestare pacificamente senza essere caricati dalla polizia e linciati dall’apparato propagandistico dei governi in questi giorni è stata pressoché cancellata. Thomas Jefferson si rivolterà nella tomba, insieme a Voltaire, Diderot, Montesquieu, ma di sicuro né il presidente francese Emmanuel Macron né i suoi pari nelle cancellerie occidentali perderanno il sonno per questo.
La guerra in Ucraina e quella in Israele sono oggi l’equivalente politico dell’esplosione del vulcano Krakatoa nel 1883: rivelano quanto fragile fosse l’idea che la pace, i diritti umani, le libertà fondamentali fossero garantiti a noi e alle generazioni future. Quanto meno nei nostri paesi: che questi privilegi non esistessero a Sud del Rio Grande o a Est del mar Baltico lo sapevamo già. Eruzioni come quella avvenuta centoquaranta anni fa ci ricordano che il pianeta può essere inospitale e che noi siamo dei mammiferi tanto arroganti quanto fragili: se fa troppo caldo o troppo freddo non possiamo vivere, se arriva un nuovo virus moriamo come le mosche. Le guerre di questi giorni ci ricordano brutalmente che anche il diritto internazionale, le costituzioni, la semplice umanità sono cose fragili, forse effimere.
Ucraina e Israele mostrano che forze autoritarie e feroci si annidano dentro le nostre società, nutrite dalla propaganda d’odio. Non c’è voluto molto per cancellare ogni dibattito pubblico razionale e sostituirlo con l’appello alla distruzione del nemico, con la caccia alle streghe verso i dissenzienti o i semplici neutrali. L’espulsione dai grandi media e dai luoghi della cultura di intellettuali fino a ieri rispettati covava sotto la cenere da anni, oggi è non solo praticata ma rivendicata. Parlare di pace sembra quasi tradimento, chi non crede alla propaganda viene bollato come agente di Putin nel caso dell’Ucraina, complice di Hamas se il tema è la Palestina. Mentre in Israele molti giornali e pezzi sostanziali dell’opinione pubblica criticano ferocemente Netanyahu per la sua incompetenza, faziosità e corruzione, da noi Patrick Zaki viene emarginato per aver detto l’ovvio e cioè che i palestinesi non sono Hamas e che le radici della guerra attuale stanno nell’occupazione di Gaza e Cisgiordania seguita alla guerra del 1967.
Le società occidentali sono sempre state meno pacifiche e meno democratiche di quanto volessero far credere ma negli ultimi anni hanno apertamente sposato politiche xenofobe verso i migranti e forme di repressione violenta verso i cittadini scontenti (Macron ha usato più polizia per reprimere le manifestazioni dei gilet gialli di quanta ne avesse impiegato De Gaulle per controllare dieci milioni di lavoratori in sciopero nel 1968). I governi si sono sostituiti ai parlamenti (Giorgia Meloni governa esclusivamente per decreto) e ignorano sistematicamente le protezioni dei diritti garantiti dai trattati e dalle organizzazioni internazionali, per esempio il principio di non refoulement, il non-respingimento solennemente affermato dalla Convenzione sui rifugiati del 1951 e dal protocollo del 1967. La Commissione europea di Ursula von der Leyen è una vergogna, una macchia indelebile nel percorso storico avviato da Altiero Spinelli.
Governi parafascisti sono, o saranno, al potere dalla Polonia all’Ecuador, senza dimenticare l’Ungheria e l’Argentina, mentre Donald Trump ha serie possibilità di essere rieletto presidente degli Stati Uniti nel 2024. Qualcuno ha un buon indirizzo di Bed & Breakfast su Marte?
*L’articolo è apparso su il manifesto del 15 ottobre 2023, l’installazione di Noura qui