La Mani pulite dei grattacieli abusivi

di Gianni Barbacetto e Davide Milosa
Vignette di Pat Carra
per BUM Brigata Umorismo Milano

Una decina (per ora) di operazioni edilizie sotto inchiesta giudiziaria. Centocinquanta progetti a rischio di essere fuorilegge. Quarantamila pratiche urbanistiche da controllare. Grattacieli nuovi di zecca fatti passare per “ristrutturazioni”. Palazzi costruiti senza permessi urbanistici ma con semplici autocertificazioni. Mezzo miliardo di euro di oneri urbanistici sottratti alle casse del Comune.
Le indagini in corso raccontano il nuovo “sacco di Milano”, le inchieste stanno diventando una “Mani pulite dell’urbanistica” per fermare le nuove “Mani sulla città”. Con una domanda sullo sfondo, per ora senza risposta: i permessi facili, le regole aggirate, i regali ai costruttori, sono gratis, o sono frutto di corruzione e tangenti?

Il nuovo sacco di Milano

Tutto è cominciato con un gruppo di inquilini che protestavano per una torre di sette piani costruita nel cortile di un isolato in piazza Aspromonte, non lontano da piazzale Loreto. Una pm determinata che viene da Palermo, con i capelli rossi e una grande passione per il suo mestiere, Marina Petruzzella, apre un’inchiesta per abusi edilizi.
Nei mesi successivi le indagini si moltiplicano: sulla Torre Milano di via Stresa, sulle Park Towers di via Crescenzago, sul Bosconavigli di viale Cassala, sui palazzi abbattuti in via Crema e in via Lamarmora, su altri palazzi che spuntano dentro i cortili, in via Fauchè e in via Lepontina, sulle torri nel Parco delle Cave in via Cancano. Si costituisce un piccolo pool di magistrati, a Marina Petruzzella si uniscono due colleghi di grande esperienza, Paolo Filippini e Mauro Clerici, con il coordinamento del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano.
Le ipotesi d’accusa sono che a Milano si costruiscano torri, palazzi e grattacieli fuori dalle norme edilizie, facendo passare nuove costruzioni come “ristrutturazioni” di piccoli edifici in realtà completamente abbattuti. Al Comune, i costruttori presentano una semplice Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) e poi procedono in base al silenzio-assenso.
È il cosiddetto Nuovo Rito Ambrosiano dell’urbanistica milanese, cioè la consuetudine a edificare senza “piani attuativi”, che dovrebbero invece assicurare che con l’arrivo di nuovi abitanti in un’area siano garantiti gli “standard” e i servizi necessari, verde, strade, trasporti, asili, fognature…

Voglia di colpa di spugna

Dopo le prime incertezze, arrivano le reazioni. I costruttori protestano dicendo che le inchieste bloccano lo sviluppo della città. L’ex vicesindaco Ada Lucia De Cesaris (oggi renziana) attacca i “pm manganellatori” colpevoli di aver aperto “una caccia alle streghe”. Al coro si unisce il sindaco Giuseppe Sala, che aggiunge: “Ora i nostri dirigenti hanno paura della firma!”. Centoquaranta dipendenti del settore Urbanistica del Comune chiedono di essere spostati in altri uffici.
L’assessore alla “rigenerazione urbana” Giancarlo Tancredi corre per due volte a Palazzo di giustizia a incontrare (irritualmente) il procuratore Marcello Viola. Poi annuncia che ai dipendenti sarà concessa l’assistenza legale e anche quella psicologica, perché ci sono stati “pianti nei corridoi degli uffici” e “crisi familiari”. Sindaco, assessore e costruttori sono uniti nel dire che le indagini riguardano non violazioni della legge, ma “interpretazioni normative controverse”.
Risponde a tutti il primo giudice chiamato a pronunciarsi sulle vicende: la gip Daniela Cardamone firma la prima bocciatura del Nuovo Rito Ambrosiano sostenendo che il Comune di Milano ha agito con “profili di eclatante illegalità”, perché permette di tirar su palazzi e grattacieli “senza un piano attuativo, mediante il ricorso illegittimo a una Scia, sostituiva di un permesso di costruire”.
Così facendo, non solo viola le leggi urbanistiche, ma lede i diritti dei cittadini che vivono nella zona dove sorgono le nuove costruzioni, privati dei servizi di cui hanno diritto. Calcola che nel caso delle due Park Towers (due grattacieli di 23 e 16 piani affacciati sul Parco Lambro, realizzati da Andrea Bezziccheri della società Bluestone) l’“impropria monetizzazione degli standard” ha sottratto al Comune 4,5 milioni di euro per servizi ai cittadini. Moltiplicando questa cifra per le centinaia di operazioni immobiliari a Milano e sommando il mancato adeguamento degli oneri d’urbanizzazione nell’ultimo decennio, si arriva a una cifra che supera il mezzo miliardo di euro. A calcolarla con più precisione, ora, sarà la Corte dei conti.
Milano è diventata il lunapark dell’immobiliare. Nell’ultimo decennio i fondi finanziari internazionali hanno investito a Milano 15 miliardi tra il 2014 e il 2018 e ne investiranno altri 13 tra il 2019 ed il 2029, destinati a “sviluppare” e trasformare, secondo l’assessore Giancarlo Tancredi, 10 milioni di metri quadrati di città. Milano è la prima città in Europa per investimenti legati all’immobiliare, seguita da Monaco (10,8 miliardi) e Amsterdam (10,2 miliardi).
Ma le mani sulla città prendono molto, restituiscono poco. Si calcola che a Milano la percentuale del valore realizzato dagli operatori che torna alla città, in servizi e altro, è attorno all’8%. A Monaco di Baviera è del 30-33%. Così Milano è diventata la città della rendita, una piccola metropoli “premium” che produce profitti colossali per i fondi internazionali, ma diventa sempre più difficile per i suoi abitanti. Per il costo della vita e soprattutto dell’abitare, con i prezzi delle case aumentati in dieci anni del 40% per la vendita e del 43% per l’affitto, mentre i salari sono cresciuti solo del 5,4%.

 

 

La prima delle inchieste arrivata alla conclusione, alla richiesta di rinvio a giudizio, è quella sulla Torre Milano di via Stresa. È un caso singolo, ma potrebbe essere moltiplicato per centinaia di altri casi. Diventa dunque esemplificativo del “Sistema Milano”. Gli otto indagati, tra cui i titolari della società Opm protagonista dell’operazione immobiliare, Stefano e Carlo Rusconi, sono accusati a vario titolo di abuso edilizio, lottizzazione abusiva, abuso d’ufficio e falso.
Per aver demolito edifici di due e tre piani e aver poi costruito al loro posto, come “ristrutturazione”, un grattacielo di 24 piani alto 82 metri, con 102 appartamenti per almeno 320 persone. Con una semplice Scia e senza piano attuativo, che avrebbe invece comportato il pagamento degli oneri urbanistici e un aumento dei relativi servizi, verde e parcheggi.
Per questo i pm chiedono il rinvio a giudizio di quattro dipendenti e dirigenti comunali, accusati anche di abuso d’ufficio. Uno di questi ha emesso una determina dirigenziale che i pm ritengono illegittima. Un altro ha approvato l’iter, “consentendo la realizzazione del complesso edilizio illegale di via Stresa” e “procurando alla società operatrice Opm un illecito vantaggio economico”.
Intanto i politici, a Milano e a Roma, come ai tempi di Mani pulite hanno già espresso una voglia bipartisan di colpo di spugna. A dare manforte a Sala è arrivato il ministro Matteo Salvini: “Non si può bloccare lo sviluppo della città, non si può terrorizzare un’intera macchina pubblica”. Ma la vera condanna per gli operatori potrebbe essere quella di dover pagare oneri e monetizzazioni non pagati: mezzo miliardo di euro che potrebbero entrare nelle casse pubbliche di Milano.

 

Case popolari vendonsi (e interviene l’antimafia)

Il direttore generale del Comune di Milano, Christian Malangone, è convocato oggi (28 marzo) davanti al Comitato antimafia milanese. A data da destinarsi sarà l’assessore alla casa, Pierfrancesco Maran, a dover presentarsi invece davanti alla Commissione consigliare antimafia. Non un bell’inizio, per il percorso che il sindaco Giuseppe Sala intende avviare “per valorizzare, riqualificare e aumentare” il patrimonio di case popolari a Milano.
A gennaio, infatti, una delibera firmata da Maran ha avviato l’accordo con Invimit, società del ministero dell’Economia e delle finanze, per creare un fondo immobiliare a cui affidare le case popolari milanesi. Quelle del Comune sono circa 28 mila, di cui 4 mila in pieno centro città. Il progetto è di conferire nel fondo circa 2 mila appartamenti, quelli più pregiati che stanno nel centro e semicentro della città, da via Madonnina a via Borsieri. Circa la metà sono negozi o spazi assegnati ad associazioni.
Il valore complessivo è stimato 410 milioni che però, messi nel fondo, potrebbero essere valorizzati 2,5 volte tanto, producendo, se venduti, quasi un miliardo. Denaro che, secondo il piano Maran, potrebbe poi essere investito nelle altre case popolari, quelle in periferia.
Due problemi. Il primo è che, vendendo a un fondo i pezzi migliori, si impoverirebbe il patrimonio complessivo di edilizia pubblica e si trasformerebbe il welfare in finanza. Il secondo è che la vendita è difficile: perché i contratti d’affitto nell’edilizia residenziale pubblica (Erp) sono a vita e non a scadenza come quelli privati.
Dunque gli investitori che entreranno nel fondo, per “valorizzare” gli appartamenti dovranno attendere la morte degli inquilini. Più rapida la soluzione per i negozi e le associazioni (i contratti scadono dopo quattro anni). Ma gli affitti saranno molto probabilmente aumentati e le associazioni dovranno essere scacciate.

Ma perché la doppia convocazione antimafia del direttore generale e dell’assessore? I due organismi, Comitato e Commissione, vogliono avere chiarimenti sull’uomo che è arrivato alla guida delle case popolari milanesi.
È Alberto Pasqualucci, che a febbraio, come già raccontato dal Fatto Quotidiano, si è seduto sulla poltrona della Direzione Casa di Mm (Metropolitana milanese). La nomina di Pasqualucci era piaciuta all’amministratore delegato di Mm, Francesco Mascolo, e ad alcuni membri del consiglio d’amministrazione tra cui Marco Plazzotta, uomo del real estate vicino a Comunione e Liberazione, nonché già vicepresidente del fondo immobiliare Namira, il cui presidente, Eugenio Radice Fossati Confalonieri, è il genero del presidente del Milan Paolo Scaroni.
Ma Pasqualucci è anche stato socio della Kreiamo, una finanziaria con sede in via Montenapoleone che fu definita dalla Procura antimafia di Milano la cassaforte della cosca di ’ndrangheta Barbaro-Papalia. Pasqualucci non è stato indagato, ma intercettato. E nelle carte dell’inchiesta del pm Paolo Storari si legge: “Veramente degno di nota il suggerimento dello zelante Pasqualucci, che suggerisce la esportazione sul web della contabilità reale, onde sottrarsi ad attese visite della Guardia di finanza”. L’obiettivo è “fare sparire tutta la doppia contabilità che evidentemente era detenuta dalla Kreiamo e che poteva rivelare la reale entità delle operazioni svolte, ivi inclusi i versamenti fatti ai Barbaro”.
Un bel guaio, per il consiglio d’amministrazione di MM che nell’agosto 2023 aveva scartato la soluzione interna e fatto un bando per la Direzione Casa che era poi stato vinto da Pasqualucci. Resta sulla poltrona poche settimane, poi emergono i suoi legami con i colletti bianchi dei clan e arrivano le dimissioni, che in realtà sono un licenziamento in tronco.
Un bell’inciampo, per la giunta Sala e per Mm, che gestisce ogni anno circa 60 milioni di appalti. Così, ai problemi del piano Maran per la “valorizzazione” attraverso Invimit del patrimonio di case popolari, si aggiunge anche l’ombra Pasqualucci, di cui ora si occupano Comitato e Commissione antimafia.

Per approfondire: Il sacco di Milano

*L’articolo è apparso il 28 marzo 2024 su Il Fatto Quotidiano e su giannibarbacetto.it

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