di Clara Rizzitelli
illustrazione di Dalia Del Bue
da Aspirina n.6 Estate 2014
Qualche mese fa è stato il mio primo giorno di tirocinio non pagato. Perché oltre a non trovare uno straccio di lavoro che manco in piadineria mi hanno chiamata, ci si ritrova a fare colloqui e prove anche per essere presi a lavorare gratis. Così faccio il colloquio e una simulazione di comunicato stampa che guarda come te nessuno mai neanche noi che ci lavoriamo nel settore, stappa una bottiglia che sei dei nostri. Da lì i miei tre mesi di beneficenza – che per carità il posto è rinomato, il lavoro è figo, le possibilità formative e lavorative inenarrabili, che qui non si fanno solo fotocopie, che vedrai la crescita, che sei un investimento, e che ancora oggi che ne scrivo sono disoccupata e sempre di beneficenza qualificata si è trattato. Aggiungi che l’ufficio è dall’altra parte della città e che se sei fortunata ci arrivi in un’ora di mezzi pubblici e che non c’è bisogno di dirlo non esiste un rimborso spese manco per i trasporti.
Così il gran giorno, e come ogni gran giorno che si rispetti mi sono venute le mestruazioni. Tanto che appena salita sul 57 linea extraurbana mi arriva un sms di ex che mi dice che faccia seria ti ho vista sul 57 che io sono su quello in direzione opposta. Rispondo sto andando al primo giorno di tirocinio non pagato, ci metterò almeno un’ora coi mezzi pubblici, devo portarmi dietro il mio pc che non serve dirlo ha il formato di un Commodore 64, fa un caldo porco e mi sono venute le mestruazioni. Aggiungi che ho mal di schiena, sono ingrassata, mi sono venuti i brufoli e ho dei capelli imbarazzanti, ti assicuro che mi sono limitata ai mali minori. Mi dice come devo fare con te.
Sul 57 linea extraurbana ascolto la musica nelle orecchie come facevo da ragazzina sempre sul 57 e sempre linea extraurbana, solo che al posto dell’ipod un tempo avevo il walkman e almeno un paio di cassette di ricambio nella borsa, e insieme a quelle forse anche tanti sogni. Scendo in centro e vado a prendere per la prima volta la metropolitana di Torino che ha un’unica linea per la cui costruzione ci avranno messo almeno trent’anni e per cui è già più vecchia di me anche se a lei non dicono che è troppo tardi per il mercato del lavoro – che poi pare sia l’unica metro al mondo ad avere i treni meccanizzati senza autista e ad essere super veloce per i pochi secondi di fermata nelle stazioni che mi è venuta l’ansia già prima di salirci. Per questa volta arrivo viva alla fermata e visto che ho almeno mezz’ora di anticipo penso mi prendo un caffè e vado in bagno che proprio oggi ho messo i pantaloni chiari. Entro nel primo bar che trovo che chiaramente ha il bagno fuori nel cortile e che chiaramente è un buco e che chiaramente puzza come un cesso e che chiaramente a malapena riesco a muovermi figuriamoci a fare le mie cose e lavarmi le mani senza prendermi le malattie. Alla faccia della tecnologia, dell’ipod e dei treni meccanizzati, la giornata procede sempre meglio.
Arrivo in ufficio, tre minuti di convenevoli che qui bisogna essere da subito produttivi, tiro fuori il pc che ho anche lucidato per l’occasione e lui per ringraziarmi pensa bene di spegnersi quattro volte nel giro della prima mezz’ora di lavoro non pagato. Gli sussurro maledetto computer che figura di merda, farfugliando alla capa di problemi di areazione o di ventola o di tutte quelle cose lì. Tutto l’ufficio ad armeggiare e ingegnare un modo per tenerlo sollevato dalla scrivania e farlo areare o ventolare o chissà forse decollare. Non si spegne più, il lavoro è poi interessante, correggo racconti tutto il pomeriggio e impreco contro le scrittrici italiane che fanno errori grammaticali tipo un con l’apostrofo mentre le scrittrici straniere manco se lo sognano di sbagliare una cosa simile, e io forse me lo dico che se gli italiani avessero imparato la grammatica e l’analisi logica sarebbero meno politicamente manipolabili. Come primo giorno comunque poteva andare peggio.
Esco in ritardo, riprendo la metro e questa volta il 61 linea comunque extraurbana perché devo passare dai miei a recuperare il cane, dove arrivo trafelata per la maratona con una stanchezza non indifferente. Mia madre manco mi chiede com’è andata la giornata ma mi dice fammi vedere la mano che hai le vene sporgenti che sembrano varicose mai vista una cosa simile, però se vuoi ti faccio due friselle. Ciao mamma e me ne torno a casa col cane che per immenso senso di pena neanche mi strattona per strada.