di Fabrizio Tonello
Illustrazioni di Liza Donnelly
Eh sì, è dura metter mano al portafoglio, come scrivevamo il 10 marzo scorso su Erbacce. Da allora ci sono state parecchie novità nella telenovela giudiziaria di Donald Trump ma il filo conduttore della serie è rimasto lo stesso: rinviare, scansare, aggirare i pagamenti. Si sa che le serie televisive di successo devono avere una coerenza di fondo e Trump è un ottimo sceneggiatore di se stesso.
Riassunto delle puntate precedenti: la sentenza del giudice Arthur Engoron nel processo civile per frode a New York è stata una multa senza precedenti: 464 milioni di dollari, più gli interessi legali che superano i 100.000 $ al giorno. I termini per depositare i quattrini scadevano a fine marzo 2024 ma la Corte d’appello ha lanciato una ciambella di salvataggio all’ex presidente, riducendo la cauzione richiesta per fare appello a 175 milioni di dollari. Se Trump non avesse pagato la sentenza sarebbe diventata esecutiva e, a quel punto, la procuratrice Letitia James sarebbe passata al pignoramento e alla vendita all’asta di una o più delle sue proprietà immobiliari.
All’ultimo minuto è comparso un salvatore, il miliardario Don Hankey con la sua Westlake Financial Services che ha comunicato al giudice di essere pronta a pagare la cauzione. Ma chi è Hankey?
Hankey è il re dei pignoramenti: le sue società, tra cui la banca Axos, sono specializzate in quelli che eufemisticamente vengono chiamati mutui subprime, ovvero mutui che non dovrebbero essere concessi perché il debitore non offre garanzie sufficienti. Se in Europa, e in particolare in Italia, per darti un mutuo le banche chiedono non solo l’esame del sangue ma anche la garanzia di genitori, zii, nonni ancora in vita e altri parenti solvibili, negli Stati Uniti non è così. Le banche americane hanno scoperto da lunga pezza che i poveri sono ottimi clienti perché magari sono immigrati, non capiscono bene l’inglese, non hanno sufficiente dimestichezza con la finanza, oppure semplicemente sono disperati e accettano qualunque condizione gli venga richiesta.
In particolare, si tratta di credito per l’acquisto di automobili: Hankey e quelli come lui giocano sul fatto che un mutuo oggettivamente non restituibile è comunque un affare se, dopo il pagamento di quattro o cinque rate, il debitore non può pagare e quindi la macchina diventa di proprietà del creditore. Laggiù non c’è bisogno del tribunale: siamo nel regno dei Repo Men, ovvero gli scagnozzi incaricati di repossess l’auto, che non hanno bisogno di autorizzazione giudiziaria per agire; trovano il veicolo un’ora dopo la scadenza della rata non pagata e se lo portano via. Le società di Hankey in media recuperano 250 macchine al giorno.
Malgrado la legge americana sia di manica larga con i creditori, la Westlake Financial Services ha dovuto più e più volte pagare multe o comunque presentarsi in tribunale perché accusata di frode verso i suoi clienti, oltre che di un’altro paio di dozzine di pratiche finanziarie illegali. Piccoli inciampi sulla strada del successo: nel 2023 Hankey, con il suo patrimonio netto a quota 7,5 miliardi di dollari, stava al 128° posto nella lista dei 400 paperoni stilata dalla rivista Forbes.
Hankey è una vecchia conoscenza di Trump: è la sua società Axos che ha rifinanziato i mutui di Trump sulla perla dei suoi occhi, la Trump Tower di New York, e sul Trump National Doral di Miami nel 2022. Hankey è inoltre presidente della Knight Specialty Insurance Company, che ha offerto la cauzione da 175 milioni di dollari a favore di The Donald per sospendere l’esecuzione della sentenza da 464 milioni di dollari del giudice Engoron. Negli Stati Uniti la cauzione è necessaria per poter ricorrere in appello in una causa per frode.
L’intera carriera di Trump si è basata sul truffare gli ingenui, i meno ingenui e anche quelli che si credevano furbi ma questa volta sembra che il sistema giudiziario americano sia un osso duro anche per lui. Prima di tutto la Knight Specialty Insurance è una ditta californiana e non è autorizzata a esercitare i suoi affari nello Stato di New York. Soprattutto, non sembra che la sua solidità sia a tutta prova, o quanto meno sufficiente a versare la cauzione che, per legge, non dev’essere superiore al 10% del patrimonio netto della finanziaria. Di fronte alle obiezioni della Procura, il giudice che presiede alla causa ha fissato un’udienza per il 22 aprile prossimo. Se l’offerta di cauzione non verrà accettata, e non si troverà un altro sponsor, Trump perderà il diritto ad appellare la sentenza e dovrà pagare 464 milioni di dollari oppure assistere al sequestro e alla vendita all’asta di alcune sue proprietà.
Donald Trump forse (forse!) ha ancora un avvenire politico (si vedrà il 5 novembre 2024, quando si vota per la presidenza) ma di sicuro il suo avvenire di miliardario è dietro di lui. Lunedì 15 doveva iniziare a New York il primo dei vari processi penali nei quali è imputato: quello di aver falsificato i rendiconti della sua campagna elettorale del 2016 per far scomparire il pagamento di 125.000 dollari a una pornostar perché tenesse la bocca chiusa sulla loro relazione. L’ex presidente, accusato di aver tentato di rovesciare con la forza il risultato delle elezioni del 2020, forse se la caverà in questo e nei vari altri processi che lo riguardano, grazie alle tattiche dilatorie dei suoi avvocati per rinviare tutto a dopo le elezioni: Trump spera di vincere per poi passare un colpo di spugna su tutto. Nelle controversie di affari, però, la giustizia americana fa sul serio e chi deve pagare paga, o finisce in una cella mal riscaldata se non ha preso in tempo un volo per uno dei paesi con cui gli Stati Uniti non hanno un trattato di estradizione.