di Laura Marzi
Illustrazione di Dalia Del Bue
Un profumo di fiori a cui non so dare un nome, forse si tratta di iris o di calle. Entro in quella chiesa, seguendo il corteo delle verginelle: sono bambine di ogni età vestite di bianco che riprendendo una tradizione antica e anche giustamente abbandonata entrano precedute da uno zampognaro per andare a salutare la Madonna. Lei le aspetta maestosa, con una parrucca di capelli lunghi, arricciolati, biondi e un bambinello che porta nella mano destra, come un cameriere professionista terrebbe una bottiglia di vino, per riempirne dei bicchieri. Le verginelle cantano una piccola filastrocca in dialetto, in cui inneggiano a Maria e io mi commuovo. Mi emoziona vedere tutto quell’amore di mamma: le donne che portano in braccio le figlie più piccole, altre che fiancheggiano il corteo mentre le loro bambine camminano chi fiera chi scocciata verso la grande madre. Una verginella cerca in tutti i modi di attrarre l’attenzione di sua nonna che è un po’ distante, urla senza voce perché non può fare rumore, mi assicuro che la donna la veda, che le sorrida fiera di lei.
In quella struttura meravigliosa e crepata da ogni lato che risale al ‘600 ci sono tante persone che parlano, si salutano, il fratellino di una verginella urla inconsolabile: guardo sua nonna trafelata e rossa in viso, immagino che tema che tutti pensiamo che suo nipote sia indemoniato, che immerso in quella grazia e purezza il maligno che lo alberga stia strepitando.
Le mura sono così bianche, di un intonaco talmente vecchio che la struttura potrebbe crollare da un momento all’altro, per le urla del piccoletto, i canti delle verginelle, l’agitazione delle loro madri, per la gioia compiaciuta di quella Madonna gigante che ci osserva benevola e alta.
In fondo all’abside un’altra immagine di lei, un quadro in cui ormai non si riconoscono nient’altro che il contorno del suo velo azzurro e della aureola dorata: il suo viso e quello di suo figlio che tiene in braccio sono neri, oscurati, cancellati dal tempo, eppure è a quella faccia invisibile che rivolgo le mie preghiere, inginocchiata nel profumo di fiori, in quell’atmosfera turca, mentre l’altra Madonna, la grossa, accoglie le verginelle che le si siedono ai piedi.
La Chiesa che è di proprietà di una famiglia possidente del posto sta aperta solo per la festa del Carmine, dal 14 al 16 luglio, e in quei tre giorni cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo che le verginelle hanno compiuto il loro coro, inizia la messa, allora esco. Ci rientro la mattina dopo, alle 8 la trovo chiusa, ma alle 9 ci sono persone che stanno vestendo la Madonna grossa dei suoi gioielli, mi siedo questa volta senza inginocchiarmi, in quello spazio così bianco, di fronte alla Maria senza volto. La prego di proteggere le persone che amo di più, quelle che vorrei poter salvare io stessa da loro stessi, le chiedo di indicarmi che fare con un uomo che dovrei incontrare, che da qualche settimana vorrei come amante, perché una notte dopo avermi stordito con una scopata da palestra, mi ha accarezzato la schiena per un tempo che da tempo nessuno dedicava più a voler bene al mio corpo, me compresa. Quei fremiti sono state campane che hanno annunciato l’avvento del sesso: mi sono ritrovata nel letto, ero io, ma una me stessa lontana dalla verginella che sono diventata che resta casta e convinta di non saper più sentire o toccare.
La sera ci ritorno, dopo il tramonto, la Chiesa è in festa, aperta e popolata, all’ingresso c’è un arco di luci colorate con al centro la scritta: W Maria. Mi inginocchio di nuovo di fronte alla Madonna scura in volto, riprendo a pregare per le solite cose, dico le Ave Maria, mi piace, ci sono volte in determinati giorni in cui penso che non vorrei fare altro che pregare. Nel banco dietro di me c’è un uomo, è molto magro e ha la faccia segnata. In centro, tra le rughe della fronte e la barba folta luccicano i suoi occhi chiari. Lo osservo e lui risponde con uno sguardo triste e birichino, gli sorrido senza nessun imbarazzo e mi rivolgo di nuovo all’altare. Quando ho finito di pregare non è più dietro di me.
Il giorno della Madonna del Carmine faccio la colazione al bar senza andare in Chiesa e poi scendo in paese a comprare i dolci, un signore che incontro all’ingresso della pasticceria mi benedice in nome di Dio, ricambio e volo leggera al pranzo della celebrazione. Mentre mi preparo l’uomo che volevo come amante mi scrive che deve disdire il nostro appuntamento, ha un’urgenza familiare che non poteva prevedere, ne è molto dispiaciuto perché desidera tanto il mio corpo accanto al suo, le mie labbra e i miei seni magnifici, scrive. Io mi domando soltanto come farò a tornare lì, nel sesso. Se non mi ricordavo neanche di non esserci più stata, se non ero consapevole di aver dimenticato come si apre quella porta, come farò a ritrovare la strada? Mi agito nel letto dove cerco di riposare dopo aver mangiato troppo: sono assediata da un’ansia che si è messa tra la pancia e il petto. Dopo aver tentato di ammansirla con i respiri, la interrogo per cercare di capirne la causa: non voglio tornare verginella, mi dice.
Nessuno degli abiti che ho è allo stesso tempo adeguato per il caldo che fa e per essere indossato in una processione della Madonna: decido di sacrificare il confort e indosso un completo di gonna e camicetta in cui sono bella, casta e ricoperta di tessuti sintetici. Di fronte alla Chiesa vedo l’uomo magro, mi domando se non sia un asceta, mi vede anche lui. Ci sorridiamo e entriamo insieme ad osservare i portatori coi fazzoletti ricamati al collo, la serietà di chi dovrà sostenere il peso della grazia. Osserviamo in silenzio e poi ci avviamo dietro la statua che esce dalla chiesa fluttuando, trasportata dalla forza di quei maschi devoti. Mentre cammino recitando le preghiere che il prete ci imbocca, l’uomo magro mi raggiunge, sento il desiderio che il suo corpo passeggi in preghiera accanto al mio, quasi gli sfioro una mano mentre lui si guarda intorno e non prega. Mi giro e ci sono ancora i suoi occhi che mi danno pace e mi fanno voglia. Accompagno la Madonna di fronte al mare, sto con lei mentre osserva dall’alto la costa con il suo sguardo serafico, prendo la benedizione per una comunità alla quale non appartengo e cerco l’uomo magro, ma non c’è.
Aspetto che finisca la messa seduta davanti a un bar con l’acqua, ci metto circa mezz’ora ad asciugare tutto il sudore che ho ancora addosso, sbottono un po’ la camicetta e passo anche tra i seni il fazzoletto e poi dietro il collo, ripetutamente sulla bocca che continua a fare goccioline. Lui arriva e si siede in un tavolino di fronte al mio, ordina un vino rosato, mi invita con lo sguardo e il sorriso a berne un bicchiere con lui. Accetto.
Si chiama Giovanni, abita in paese, deve avere circa cinquant’anni. Ha le mani grandi e ben disegnate, le spalle dritte e molte lentiggini, mi trovo a desiderare di leccargli la pelle intorno alla spallina della canottiera. Abbiamo poco tempo per il nostro aperitivo, la Madonna sta uscendo dalla chiesa madre per ritornare nella sua, quella del Carmine.
“La accompagniamo a casa?” gli chiedo.
“Sì” mi risponde con una fermezza così calma.
Ci incamminiamo dietro la banda, procediamo lenti in silenzio fino allo spiazzo antistante la cappella dove uno scoppio di coriandoli accoglie la statua che sta facendo ritorno. Io grido per la sorpresa e lui ride: “è bella la meraviglia” mi fa. Lo guardo col viso estasiato. In Chiesa ci sediamo vicini, io recito ancora le tre Ave Maria che ci domanda il prete, lui no.
“Adesso lei è piena dell’energia di tutta questa gente, esaudisce più facilmente le preghiere”. “Allora vado?” gli faccio.
“Sì”.
Mi trovo a essere la prima che bacia la veste della Madonna grossa, chiedendole sempre le stesse cose e ringraziandola per aver sbarrato la strada da percorrere con quello che volevo come amante: di colpo mi è molto chiaro che lui è un bugiardo e che il sesso coi bugiardi non lo voglio, neanche a costo di restare verginella.
Giovanni mi aspetta seduto, mi rimetto accanto a lui, mi inginocchio per salutare con la mente Maria dal volto nero e poi ascoltiamo vicini l’ultimo pezzo della banda che si avvia fuori dalla chiesa, mentre noi applaudiamo. Il profumo dei fiori è quasi del tutto vinto dal sudore, quello modesto di noi semplici fedeli e quello potente dei portatori della statua che ne hanno le tracce abbondanti, fino a metà schiena.
“Devo fare la pipì” gli dico, avvicinando la mia bocca che sussurra al suo volto.
“Sei bambina” mi risponde indicandomi di seguirlo fuori.
Esco dalla chiesa camminando all’indietro, per non dare le spalle né alla Madonna grossa, né a quella scura e quando sono fuori, le saluto entrambe con la mano. Giovanni è accanto a me e insieme attraversiamo lo spiazzo davanti alla chiesa, calpestando i coriandoli di cui è ricoperto. Poi quando inizia la strada in salita mi prende per mano. Io tengo quella stretta e sento eccitazione.
Gli dico che dormo nella zona del castello e lui mi accompagna badando che io non scivoli sulle pietre lisce e le sterpaglie, poi mi aspetta sotto casa, nel cortile col pozzo, illuminato solo dalla luce delle stelle, Luna non ce n’è. Quando torno, mi avvicino per ringraziarlo di avermi aspettato, per baciarlo, lui mi stringe. Mi cinge la schiena e la vita, fa aderire la mia natura alla sua e mi dà baci prepotenti. Non lo respingo e neanche lo accolgo, prendo le sue carezze e i suoi morsi come se fossero ostie: non puoi masticarle né sfamartene. Penso che potrei toccarlo, ma non lo faccio, tengo entrambe le mani sulle sue spalle, come per mantenermi mentre lui fa la tempesta. Poi si ferma. Anche da così vicino i suoi occhi mi garantiscono dolcezza.
“Fatti amare, vergine’, come se io fossi la Madonna”.
“Amen” gli sussurro.