Le sofistiche tra doxa e silenzio

di Francesca Maffioli e Laura Marzi
Illustrazioni di Isia Osuchowska

 

Diletta Gorgia,

Prima di tutto ringrazio i Numi di essere qui e di poterti ancora interrogare, mentre nel continente nostro è in corso la battaglia e ancora siamo coinvolti nella pandemia de lo malo morbo.
Mi rivolgo a te, perché solo nella domanda, nella sospensione dell’opinione, la maledetta doxa che domina il presente ed è regina di ogni tempo, trovo un senso al favellare stesso. In questi giorni infatti mi convinco che la parola stessa sia il periglio, il dare fiato a considerazioni non ponderate, non radicate nella sapienza. Intorno domina la necessità di schierarsi, come è avvenuto di recente sulla diatriba tra pro-vax e no-vax, il bisogno dello scontro, l’imperativo categorico, direbbe un nostro esimio successore, di esprimere la propria opinione contro quella altrui, anche se nulla sappiamo degli obbiettivi degli USA, della Russia, dell’Ucraina, della Nato, della Cina. Non c’è dato conoscere le volontà del potere. Allora, come è umano, sbigottiamo e tremiamo di fronte alla guerra e alla distruzione, compatiamo il popolo ucraino, temiamo di essere coinvolte noi stesse nello scenario dell’odio fra popoli. Perché però dovremmo favellare? Che cosa è d’uopo dire ora per essere delle cittadine degne e giuste? Evviva gli Stati Uniti? Evviva la sudditanza dei paesi europei alla volontà dei dominatori d’oltreoceano? Evviva i capi di stato che hanno imparato l’arte della politica e della diplomazia facendo i comici in televisione?
Intendo l’horror vacui del silenzio, ma non è esso preferibile allo sproloquio ad captandum vulgum?

 

Protagora cara,

Nelle tue parole leggo quell’amarezza ipnotica che è preludio alla sospensione del giudizio. So che sei sgomenta, e come non esserlo?
Quando parli della doxa, la chiami maledetta perché il tuo ingegno vola a Parmenide, secondo il quale la doxa non presumeva riflessione. Un’opinione confusa insomma. Capisco quindi che tu ti chieda spazientita perché esprimersi, ed esprimere ancora una volta la nostra, in quanto sofistiche.
Sai bene che melancholía mi condurebbe a restare in bolla silenziosa e contrita.
Tuttavia provo a giustificare la doxa nella convinzione che comprendere il mondo non sia fenomeno semplice e sia in costruzione. La conoscenza è sempre una costruzione, anzi, una pre-costruzione e una ricostruzione. E una decostruzione, ça va sans dire! Tutto ciò che concepiamo, amica filosofa, è una ripresa in varianza della conoscenza di una valutazione a cui abbiamo precedentemente acconsentito.
Anch’io ascolto rammaricata il babelico sproloquio di chi si afferma tramite l’espressione della propria opinione. Ma in qualche modo dietro a ciò vedo ancora qualche scintilla di desiderio… Mi chiedo: non sarebbe più grave invece se a questa pulsione autoaffermativa, pur sbrodolante, si sostituisse quell’autocensura che sabota lo sviluppo del pensiero?
Tutto ciò per dirti che le humanae genti son tali anche per la loro volontà d’opinione. Certo, sarebbe meglio andare aldilà dell’invisa doxa, o allora far parlare la doxa in quanto azione del “brillare”, di riflettersi nelle cose che impariamo – ho ancora speranza* – a conoscere.

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