Intervista a Lucia Tozzi
di Redazione
Illustrazione di Piera Bosotti
Dopo aver letto il libro L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane* abbiamo voluto conoscere l’autrice, Lucia Tozzi, tale era l’empatia con il suo tono analitico, tagliente e a tratti satirico. In particolare le abbiamo chiesto di approfondire la questione del Museo della Resistenza, in attesa dell’incontro del 31 maggio alle ore 18 al Circolo Combattenti nell’area verde, con glicine e tigli secolari, destinata al museo. Lucia è una studiosa e una pasionaria delle politiche urbane; tra i suoi libri Dopo il turismo e Napoli. Contro il panorama.
Nel tuo libro capovolgi la narrazione euforica di una città, Milano, che negli anni pre e post Expo si è trasformata in una metropoli del lusso. La definisci inventata, più che reale, da poteri economici che hanno interessi ben ancorati alla realtà. Quali sono i punti centrali della riflessione?
Il primo punto è il passaggio da una città che nel bene e nel male era fondata sulla produzione di merci, di cultura, di lavoro sociale a una città “attrattiva”, intenta a produrre solo un’immagine capace di attrarre i flussi finanziari e turistici, o gli abitanti a breve termine come expat e studenti. È avvenuto con l’Expo, ed è costato grandi sacrifici alla popolazione più fragile, che è stata espulsa dalla valorizzazione, dalla rendita elevata a metro e obbiettivo della crescita urbana.
Il secondo punto, fondamentale, è l’affossamento del conflitto e della capacità critica, ottenuto attraverso una forma molto profonda di propaganda che nega ogni contraddizione tra questo modello violento di crescita, fondato sulla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, e la possibilità di assicurare a tutti i cittadini i servizi pubblici, lo spazio pubblico, il diritto di abitare in modo decente.
Come sono state trattate le voci critiche e le forze antagoniste?
Insieme alla propaganda mediatica, è stata cruciale l’elaborazione, a partire dalla giunta Pisapia, di forme di finta partecipazione, di stampo neoliberale, che in modo ricattatorio pretendono forme di “attivazione” dei cittadini che assomigliano molto a un consenso forzato. Sono state create reti claustrofobiche legate al sistema dei bandi, da cui non è facile smarcarsi e in cui è repressa ogni forma di critica anche velata. Di fatto, in questo modo si è avallato, attraverso la sussidiarietà spinta a livelli estremi, un regime di privatizzazione di servizi e spazi allocati a privati e terzo settore, ma spacciati per tutela del bene comune.
Negli ultimi mesi è ripresa la lotta in difesa del glicine e degli alberi secolari di Porta Volta/Garibaldi, in un’area verde gestita dal Circolo combattenti e dal Giardino Lea Garofalo. Lì dovrebbe sorgere la seconda piramide di vetro e cemento degli archistar Herzog&De Meuron, destinata questa volta al Museo della Resistenza, dopo quella di Fondazione Feltrinelli e Microsoft.
Si, quell’area sembrava a un certo punto destinata a rimanere libera, perché il Comune, proprietario, non sapeva bene a chi destinare questa piramide speculare a quella Feltrinelli-Microsoft, che avrebbe dovuto completare il progetto iniziato nel 2015 da Feltrinelli e Coima. Erano andati a vuoto parecchi bandi, e i cittadini che gestivano il Giardino Lea Galofaro hanno cominciato a protestare, chiedendo nel 2019 di lasciare intatta questa area verde, per lasciare riposare lo sguardo in un tessuto urbano così denso. A quel punto, dicembre 2019, il ministro Franceschini annunciò un finanziamento di 15 milioni per sistemare nella piramide il Museo Nazionale della Resistenza, in uno spazio di 2500 metri quadrati. Ne scaturirono molte critiche intelligenti, ricordo in particolare quella del collettivo MiRiconosci? ma anche tantissime altre. Poi con il Covid, e soprattutto con il clima sospeso per la rielezione di Sala nel 2021, un lungo silenzio. Fino a qualche mese fa.
Alcuni consiglieri comunali (in primis Monguzzi) hanno chiesto una piccola revisione della piramide per salvare glicine e tigli, mantenendo la costruzione. Che cosa ne pensi?
Il problema non sono solo il glicine e i tigli: quel progetto non ha più alcun senso, il museo va fatto da qualche altra parte senza consumare suolo, in qualcuno dei tantissimi edifici in disuso presenti in città.
Le contraddizioni sono molte: il Ministero della cultura del governo attuale potrebbe esigere una sezione dedicata alle foibe, per esempio. O approfittare delle critiche e dei conflitti per eliminare del tutto il MdR, non sono ipotesi da sottovalutare.
Al di là delle foibe, la memoria sui fatti del fascismo e della Resistenza è diventata un terreno di battaglia così conteso, e così strategico dal punto di vista simbolico, da ostacolare a volte la stessa ricerca storica. Personalmente credo che il comitato scientifico sia talmente autorevole da offrire una garanzia assoluta contro qualsiasi ipotesi del genere: non riesco a pensare a membri dell’Anpi o dell’Istituto Ferruccio Parri disposti a contrattare versioni edulcorate o alterate della storia di quegli anni. Ma esiste un rischio più che concreto che un governo così attento a contrastare ogni forma di cultura simbolicamente avversa spinga il progetto del Museo della Resistenza solo in funzione della cantierizzazione della piramide, e poi lo faccia fallire ancor prima di vedere la luce. Secondo me un Museo Nazionale della Resistenza non può e non deve nascere in un contesto del genere, in cui governo e opposizione attuano identiche politiche neoliberali e si scontrano solo sul piano simbolico. L’idea di cultura che condividono è in sostanza quella di una vacca da mungere per ricavarne denaro e soft power. Sono certa che oltre a qualche irricevibile proposta di memoria delle foibe potrebbe arrivare la richiesta di progettare il museo come una Resistenza Experience, con tanto di oculus e strutture interattive, o come diceva Battiato “proiettori e raggi laser”. E non sarebbe meno degradante e pericoloso.
L’uso strumentale delle buone cause per assicurarsi il consenso o almeno il silenzio è un fenomeno diffuso a Milano?
Assolutamente si, un altro esempio terribile oltre al Museo della Resistenza è il caso del progetto di moschea localizzato a via Esterle perché funzionale allo sgombero degli occupanti di una palazzina pubblica: decine di riders, famiglie, persone che difficilmente troveranno altre collocazioni. È il miglior sistema per dividere il fronte dell’opposizione: chi contesta la moschea viene subito tacciato di essere razzista e islamofobo, così come qualsiasi dubbio sul Museo della Resistenza viene messo a tacere come espressione di complicità con la cultura fascista.
I conflitti aperti qui e là, come quello per lo stadio a San Siro, e le proteste degli studenti che non trovano casa, hanno aperto una crepa nella splendente vetrina del Modello Milano; non è più così facile, per le istituzioni e i gruppi finanziari, andare avanti indisturbati. Secondo te l’invenzione di Milano è una bolla che può scoppiare?
Potrebbe, ma dobbiamo essere molto bravi, perché il discorso pubblico tenta continuamente di appropriarsi delle istanze meno aggressive della critica per ricondurle nell’alveo di un discorso conciliatorio, focalizzato sul “si può fare di più, si può fare meglio”. Come se fosse solo un problema di efficienza, di riduzione delle “esternalità negative” e non di cambiare radicalmente la direzione politica. I media che fino a ieri gareggiavano a tessere le lodi del Modello ora rincorrono gli studenti, interrogano personaggi mediatori e cercano di fare passare la tesi che il problema del caro affitti esiste, ma si risolve con qualche studentato pubblico-privato e qualche briciola di housing sociale. I politici che da anni governano questa città e hanno spinto con tutte le loro forze per valorizzarne ogni metro quadro, oggi riconoscono che in effetti “lasciare indietro le persone fragili” non è propriamente democratico, ma continuano a scaricare la responsabilità sul governo nazionale o a proporre come soluzione la privatizzazione a oltranza del patrimonio e dei servizi pubblici: stadi, piscine, centri sportivi, biblioteche, addirittura le case popolari, come sta cercando di fare Maran, assessore alla Casa.
*L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane (Cronopio 2023)
Per approfondire: Glicine e museo della Resistenza