di Margherita Giacobino
Illustrazione di Anna Ciammitti
La natura ci permette di fare quasi tutto, ma a tre condizioni: che lo si faccia su scala ridotta, con intensità limitata, a bassa velocità: solo così risponde alle sollecitazioni con squilibri molto ridotti.
Dovrebbe valere… non il principio che qualsiasi modifica dell’ambiente sia da considerarsi innocua sinché non ne sia dimostrata la pericolosità, bensì il principio che qualsiasi modifica dell’ambiente sia da considerarsi pericolosa sinché non ne sia dimostrata l’innocuità.
Siamo illusi da una scienza che si identifica con l’ingegneria, la tekné che costruisce strumenti anche molto efficaci e utili, ma al tempo stesso è sempre meno fonte di conoscenza… Il proliferare di risposte definitive e autorevoli a problemi complessi è il primo indice di questa illusoria tendenza.
Il concetto di sostenibilità è stato recepito, nella cultura ecologica italiana, a livello puramente verbale.
L’ecologia si serve delle scienze sperimentali, ma non è una scienza sperimentale, è una scienza di esperienza… perché non può lavorare sui modelli della realtà, ma può soltanto osservare la realtà.
È il sistema capitalista a costringere l’agricoltura a sostituire i concimi organici con i fertilizzanti chimici, e quindi si può dire che è il sistema capitalista a provocare l’erosione dei suoli e l’eutrofizzazione delle acque.
Quando l’uomo introduce nell’ambiente una molecola nuova, non degradabile, che il mondo vivente non conosce e per la quale non ha elaborato alcun enzima, viola una legge generale e provoca grossi guai, maggiori o minori secondo la tossicità specifica di ciascuna molecola.
Che nessuna voglia più fare la mondina non ci credo: poiché le mondine faticano più dei primari, proviamo a pagarle come primari: e non mancheranno. “Ma il riso costerà più caro!” E con questo? Anche il caviale costa caro.
Migliorare la vita è possibile perché è possibile eliminare i pericoli di guerra, conquistare maggiore giustizia tra le classi e i popoli, avere rapporti personali meno angusti e più generosi, rendere il lavoro più gratificante, sviluppare meglio le capacità di ciascuno, fisiche, erotiche e culturali. Queste sono le forme di sviluppo sicuramente compatibili con le risorse dell’ambiente.
Sono citazioni di Laura Conti, l’ultima da un articolo pubblicato nel 1985 su L’Unità, dal titolo “Fermate lo sviluppo, voglio scendere!”, le altre dal suo libro Che cos’è l’ecologia. Capitale, lavoro e ambiente (1977).
Basterebbero queste frasi, scritte decenni fa, a far comprendere quanto sia lucido, complesso e attuale il pensiero di Laura Conti (1921 – 1993). Partigiana, internata nel lager di Bolzano, medica, scienziata e politica, pioniera dell’ecologia e fondatrice della Lega per l’Ambiente, oltreché scrittrice di saggi e romanzi, Laura Conti è una figura che è stata messa da parte ingiustamente, perché la sua chiarezza, il suo coraggio nell’enunciare un pensiero ecologico complesso, originale e globale, al di fuori di schemi e schieramenti, davano evidentemente fastidio tanto alla scienza ufficiale asservita alla grande industria quando alla politica fatta di ideologie e slogan.
Per fortuna quest’anno, in occasione del centenario della sua nascita, si torna a parlare di lei, e soprattutto a ripubblicare i suoi testi.
Come il bellissimo libretto Una lepre con la faccia di bambina, uscito nel 1978, che racconta il disastro di Seveso, quella nube di diossina che nell’estate del ’76 si levò dagli stabilimenti Icmesa, di proprietà di un gruppo svizzero, e avvelenò la terra e le piante, uccise i piccoli animali, fece ammalare i bambini e, più tardi, anche gli adulti. Laura Conti, allora segretaria della Commissione Sanità ed ecologia della regione Lombardia, quella storia la visse da vicino, passando molto tempo con gli abitanti di Seveso, e volle raccontarla con la voce di due ragazzini, Marco e Sara, che cercano di scoprire cos’è successo perché gli adulti non dicono loro la verità. Ma in questo libro nato con intento didattico c’è molto di più: c’è la visione del divario e dei conflitti sociali, ci sono il Nord e il Sud a confronto, in una Brianza di piccoli imprenditori e di operai immigrati, ci sono le femministe, c’è la lotta per la libertà di aborto in un’Italia provinciale e piena di pregiudizi, e c’è il negazionismo con tutte le sue contraddizioni, la paura della catastrofe e la negazione della catastrofe. E, come in Primavera silenziosa di Rachel Carson (1962), c’è la scomparsa degli animali e con essa il silenzio: a Seveso non si sentono più chiocciare le galline, cinguettare i passeri, ronzare le mosche…
Non solo un libro di divulgazione scientifica, insomma, com’era nelle prime intenzioni dell’autrice, ma un romanzo, uno scorcio di realtà, uno stimolo a pensare, una gioia per chi legge. La scrittura di Laura Conti, sempre sorprendentemente limpida e viva, audace, ricca di esempi concreti e illuminanti e spesso perfino divertente, rispecchia la sua sua grande capacità di cogliere i nessi tra gli eventi, di mettere in rapporto dati scientifici e fatti storici, conoscenza e visione.
Le stesse qualità si ritrovano in Che cos’è l’ecologia, un saggio che si divora golosamente, come fosse stato scritto oggi, rimpiangendo che non sia più lungo. Pieno di sorprese, di spunti, di scoperte, e impregnato di un ottimismo della volontà che osa guardare il reale senza perdere la speranza nel futuro, perché Per distruggere l’ambiente è bastato un cieco meccanismo. Per ricostruirlo occorre una volontà. Una volontà basata sulle conoscenze scientifiche e capace di esprimersi in atti politici ben coordinati.
Di e su Laura Conti sono stati recentemente pubblicati:
Una lepre con la faccia di bambina (di Laura Conti, Fandango)
Laura non c’è. Dialoghi possibili con Laura Conti (di Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turri, Fandango)
La via di Laura Conti (di Valeria Fieramonte, enciclopediadelledonne.it)