di bulander
Illustrazioni di Federico Zenoni
Difficile dire quanti erano partiti tra il 2022 e il 2023 perché avevano attraversato le frontiere clandestinamente, per dei percorsi tortuosi, con passaporti falsi quelli più organizzati. C’erano parecchie donne e per loro magari era più facile sfuggire ai controlli. Fare il volontario per andare a combattere in una guerra che, come tutte le guerre, era una “guerra sporca”, dove succedevano ogni sorta di nefandezze, non era proprio una roba da donne. Certo, anni prima c’era stato l’esempio delle combattenti curde, ma quelle difendevano la loro etnìa, l‘esistenza stessa del loro popolo. Che cosa c’entrava la cassiera dell’Esselunga di Pioltello con l’invasione dell’Ucraina da parte dei russi? Eppure erano tante come quella, precarie, che avevano lavorato nel pret-a-porter o a fare la benzinaia o nelle inchieste di mercato, ma anche fior di laureate eh… Avevano magari il fidanzato fissato con le armi, oppure avevano frequentato qualche corso di arti marziali, qualcuna era sportiva e l’allenatore era uno anche lui che gli piaceva provare l’esperienza della guerra, qualcuna magari era stata adescata da reclutatori che giravano in quei tempi per la penisola, loschi figuri. La netta maggioranza però erano maschi, di quelli con il cranio pelato, tutti tatuati, palestrati e il mito della violenza che occupava quel poco di materia cerebrale che era loro rimasta. Che sballo poter provare una guerra vera! E per un ideale, per di più! Per difendere la democrazia! I giornali italiani erano i più sfegatati guerrafondai, ai politici le armi all’Ucraina non bastavano mai, l’Impero del Male si stava pericolosamente avvicinando secondo loro (anche se i russi stavano ritirandosi con le ossa rotte). Quindi la guerra era diventata un must. Chi partiva volontario in genere passava da Trieste o da Gorizia, poi da lì in Croazia e poi… Arruolarli ufficialmente era troppo rischioso, anche la NATO non voleva milizie tra i piedi, che magari trovavano un leader e cominciavano a far guerra in proprio.
2025. Pompeo Salvapreti era di Viterbo. Era stato tra i primi a partire. Una granata gli aveva portato via la faccia, un unico occhio destro si distingueva a malapena in un convoluto di carne dove spuntava un buco che doveva servire da bocca. Tito, suo fratello, era in carrozzella a motore, le gambe gli arrivavano alle ginocchia, per fortuna aveva conservato il braccio destro, il sinistro c’era ma penzolava inerte sul fianco e anche la faccia, dopotutto, a parte il naso che non c’era più, recava ancora sembianze umane. Nerina Bonaguardia, che faceva l’allenatrice di pallavolo a Cremona, reggipetto n.5, al posto dei seni aveva un’orribile cicatrice, il piede destro era partito su una mina e la faccia… beh, lasciamo stare. La maggioranza era tornata in queste condizioni. Avevano voluto provare la guerra, che effetto che fa, come dice la canzone. Erano stati accontentati. E così finalmente anche gli italiani erano soddisfatti, avevano visto per la prima volta in vita loro gli effetti, l’orrore della guerra, lo avevano visto dai loro SUV, mentre mangiavano le loro pizze margherita, mentre s’accaloravano nelle loro discussioni sul calcio. E c’era chi, pizzaiolo o chef di ristorante di lusso, se capitava che uno di quei disgraziati, accompagnato dalla famiglia, volesse entrare nel locale sulla sua carrozzella, arrivava a dire: “No scusi, se vuole le mettiamo un tavolino fuori ma piove… capirà, i miei clienti possono essere impressionabili”. La società li rifiutava, come è capitato a tutti i veterani di tutte le guerre. Anzi, rischiavano la galera perché, passata la sindrome guerrafondaia, piombata l’Italia in una recessione senza precedenti, con milioni di disoccupati, homeless che riempivano i marciapiedi, l’umore della gente era diventato ultrapacifista e tutto quello che ricordava loro le tifoserie pro-Ucraina o pro-Putin, doveva essere rimosso o condannato. Quelli del Pd erano praticamente spariti e i poveri volontari erano considerati espatriati clandestini, e quindi passibili di multe o addirittura di arresto.
Ciccio Stanchezza, di Ruperina a Mare, ci aveva visto invece la possibilità di diventare deputato e aveva fondato un movimento con lo slogan: Pensioni di guerra ai volontari per l’Ucraina!” Girava l’Italia su un camper portandosi dietro qualcuno di quelli/quelle particolarmente malconcio/a per commuovere la gente. All’inizio i suoi comizi erano poco frequentati ma poi, grazie anche alla stampa vaticana che seguiva ormai il magistero del successore di Bergoglio – il noto cardinale Alois Sturmtruppen di Francoforte sull’Oder, diventato Papa con il nome di Guerriero I – venivano seguiti da un pubblico sempre più numeroso.
Sicché nel 2026, quando l’Italia andò alle urne, Stanchezza riuscì a presentare la sua lista Pensioni ai volontari in vari collegi. Laddove non era lui il capolista, ci aveva messo un mutilato o una mutilata. E riuscì a entrare in parlamento, non solo, ma ci entrò pure Amelia Estroversi, che nel Donbass aveva perduto la vista e le gambe. A sorpresa, ci entrarono pure i vecchi partiti, che sin dalle prime sedute riproposero il tema delle alleanze e delle spese militari, il tema cioè della “sicurezza”. E ottennero finalmente che fosse posta in votazione la legge che autorizzava lo stazionamento di sottomarini nucleari in tutto il Mare Adriatico. Ma per ottenere la maggioranza mancavano due voti, quelli delle Pensioni ai volontari. Stanchezza fu ben presto convinto, gli promisero un posto nel CdA di un’importante industria di guerra, ad Amelia non chiese nemmeno il parere, sicuro della disciplina di partito.
Venne il giorno della votazione, ci fu una sola dichiarazione di voto, quella dell’on. Estroversi: “Voto contro. Mai più guerre, colleghi, mai più l’orrore che ho visto io e che mi fa dire: per fortuna sono cieca! Non si sa mai che qualcuno, pazzo e irresponsabile, voglia farmi rivedere quell’orrore per salvare la democrazia”.