Intervista alla docente e attivista Roberta Ortolano
di Laura Marzi
Illustrazione di Piera Bosotti
I dati relativi alle ultime elezioni riportano che la maggior parte degli insegnanti nell’ultima tornata elettorale ha votato Fratelli d’Italia. Negli ultimi cinquant’anni la vox populi era, al contrario, che i docenti, come i libri di testo, fossero rossi, quasi per vocazione. Come interpreti un voto così a destra? E cosa temi, da insegnante, del nuovo governo che si sta profilando?
Il concetto di “merito per alunni e corpo docente” era il primo a comparire nel programma di FdI alla voce: Rilanciare la scuola, l’università e la ricerca. Èpiuttosto diffusa tra gli insegnanti, a prescindere dall’appartenenza politica, l’idea che non ci sia la selezione di un tempo.
Bisognerebbe affidarsi a chi si occupa di ricostruire la storia della scuola e della didattica nel nostro Paese per avere un’idea della complessità di questo dibattito. Per esempio Vanessa Roghi in Il passero coraggioso. Cipì, Mario Lodi e la scuola democratica ricostruisce il percorso che ha visto contrapposte due fazioni: quella del “come” e quella del “cosa”, laddove il partito del “cosa e dei contenuti” era rappresentato largamente dai comunisti che guardavano con superiorità e diffidenza a quelli del “come e dei metodi”. Sarebbe riduttivo oggi dunque pensare che la scuola della selezione sia un’istanza che proviene solo dalle destre.
Anche i libri di testo attualmente in commercio non li definirei “di sinistra”. In certi libri di storia o di storia letteraria si parla ancora di invasioni barbariche, di Risorgimento, di scoperta dell’America. Il punto di vista è ancora quello coloniale e nazionalista, tipicamente ottocentesco ed eurocentrico. Per non parlare del pluralismo. Le donne, come scrittrici, intellettuali, filosofe, scienziate sono o invisibili o relegate a riquadri a parte. Non troviamo molte voci che appartengano ad altre culture, portatrici di altri punti di vista, insomma la diversità sembra solo decantata, ma non compare nei fatti.
Con questo governo il quadro potrà solo peggiorare, temo. Se solo penso associata all’adolescenza la parola devianza, che pure ha caratterizzato la propaganda di FdI, mi vengono i brividi. Devianza rispetto a quale ideale?
Nella scuola italiana vige una normativa che favorisce l’inclusione: degli stranieri, degli alunni con bisogni educativi speciali e difficoltà di apprendimento. Viene applicata? Quali sono, secondo te, i suoi punti forti e quali quelli che andrebbero corretti?
Nella mia esperienza personale direi che la normativa viene applicata. I bisogni educativi speciali che tutela sono di natura molto diversa, dati da disabilità o disturbi più o meno gravi certificati, al disagio linguistico e socioeconomico. I piani didattici personalizzati o individuali che i consigli di classe condividono e approvano, insieme ai genitori e al personale specializzato, sono una risposta alla constatazione che i punti di partenza non sono affatto gli stessi per tutte e tutti. L’idea è che ogni studente abbia bisogni educativi differenti, ma che alcune situazioni necessitino di strumenti speciali e di una particolare attenzione. Il presupposto didattico imprescindibile è che non esista una lezione tipo calata dall’alto a cui la classe intera si debba adeguare (con il silenzio o la partecipazione, a seconda dei casi), ma che la lezione debba essere il risultato di un’osservazione della realtà dal basso.
Spesso le certificazioni non sono né richieste né ottenute con facilità, soprattutto dalle famiglie di discendenza non italiana, e a questo si aggiunge la percentuale di studenti privi della cittadinanza, con tutto quello che ne consegue in termini di diritti negati.
Le lamentele che si sentono spesso in sala insegnanti sono relative a un’eccessiva burocratizzazione e soprattutto al fatto che la celebre libertà di insegnamento viene scalfita, se non annullata, proprio dalle troppe normative, anche quelle virtuose. Tu senti minata la tua libertà di insegnamento? Da cosa?
Dipende fortemente dalla natura e dal tipo di documenti di cui stiamo parlando, non tanto dalla quantità. Anche io in passato sono caduta nella retorica e nel luogo comune della lamentela sulla “burocratizzazione”. Il fatto è che la didattica è una ricerca e come tale necessita di strumenti scientifici e di termini di riferimento comuni. Per esempio i verbali dei consigli di classe e dei collegi docenti non sono scartoffie, sono documenti pubblici, garanzie di democrazia.
La libertà d’insegnamento è un principio costituzionale antifascista e in quanto tale va difeso. Insisterei da una parte sulla natura pubblica e politica dell’insegnamento, dall’altra sul fatto che sia un mestiere estremamente complesso, che necessita di una varietà di competenze e di strumenti differenti e che proprio per questo andrebbe remunerato meglio.
Ci sono da anni polemiche relative al fatto che la scuola italiana, proprio a causa della sua spinta inclusiva, non favorirebbe le eccellenze, impegnata com’è a stare dietro ai “casi disperati”. Si può sfatare questo mito?
Si può e si deve. Intanto chi sono le eccellenze: studenti che si impegnano più degli altri? Studenti più intelligenti, secondo quale modello di intelligenza? Studenti che provengono da contesti familiari particolarmente stimolanti o semplicemente ricchi o a cui i genitori pagano le ripetizioni private?
In secondo luogo, essere bravi serve a sentirsi in una perenne gara o a condividere le conoscenze per la realizzazione di qualcosa di comune? L’eccellenza senza la comunità genera solitudine, isolamento, alienazione.
La didattica cooperativa promuove una visione d’insieme. Per cui se per esempio si sta realizzando un progetto di classe, come un sito, un podcast, un libro… Le “eccellenze” saranno d’aiuto agli altri, ma allo stesso tempo la varietà di attività in gioco favorirà l’emergere di diverse eccellenze distinte. In qualsiasi terreno di ricerca il valore del dubbio e dell’errore non è messo in discussione, serve per evolvere. Se ragioniamo solo in termini di “successo” ci sfuggirà il grande valore del “fallimento”, l’importanza che ha il saper gestire e accettare l’incontrollabile, la caduta e perderemmo di vista la visione complessa e lungimirante delle cose, restando schiacciati nel presente e nell’individualismo. La scuola scommette molto più in alto di così.
Qual è la principale causa di fatica e frustrazione nel tuo mestiere? E quella di soddisfazione?
Sono frustrata quando sento di non essere riuscita a cambiare le cose o semplicemente a rappresentare un’occasione. Quando una ragazza o un ragazzo vengono respinti, quando scelgono una scuola privata, o peggio abbandonano vuol dire che le cose non hanno funzionato.
Per fortuna esistono anche le soddisfazioni e sono tantissime. Innanzitutto, quando sono in classe mi sento in un flusso di comunicazione, di reciproco ascolto e ricerca creativa che di per sé mi dà buon umore, vitalità. Sono soddisfatta quando vedo che pensano in autonomia, che si sentono libere e liberi di esprimere le loro opinioni indipendentemente dalle mie, quando si fanno domande, quando si accende una discussione tra loro, quando tornano a scuola con un senso di stupore, con curiosità.
La gioventù attuale è duramente messa alla prova: prima la pandemia, ora la guerra in Europa, la minaccia dell’uso del nucleare, la grave crisi ambientale e climatica. Eppure non sembra che il movimento giovanile abbia, come è stato in passato, una profonda spinta politica alla ribellione. È una gioventù disillusa quella che popola le tue classi? Sono tristi i tuoi alunni e le tue alunne?
Gli studenti che mi capita di incontrare non hanno una spinta politica, sono disillusi per lo più sì, soprattutto perché mancano di autostima, vivono con la sensazione di non avere un’efficacia nel mondo. Mi pare che tendano a leggere la loro vita solo come il risultato di scelte familiari o della sorte.
Forse il sistema scolastico stesso, nonché l’ambiente politico generale, li rende meccanici e poco critici. Negli ultimi anni, però, sono nati vari movimenti globali, collettivi studenteschi e universitari nazionali e internazionali di grande impatto, in lotta contro sessismo, razzismo, logiche capitaliste, in favore dell’ambiente, e che in generale fanno ben sperare. Sono giovani che combattono contro una retorica paternalista che li vuole perennemente fannulloni e sfaccendati e che banalizza le loro istanze.
Se potessi cambiare una sola cosa del sistema scolastico italiano, quale sarebbe?
Agirei sulla formazione degli adulti, che parta dal basso, alla quale contribuiscano in maniera attiva le nuove generazioni, aperta alle esigenze concrete, quali per esempio quelle ecologiche, di salute e salute mentale, quelle relative a rapporti interpersonali, alle differenze, al legame tra pubblico e privato, all’orientamento nel digitale e nelle comunicazioni, nella scienza e nell’immaginazione. La scuola ha bisogno di essere investita da una sorta di ecologia relazionale, volta al benessere e alla felicità collettiva, un’alternativa concreta per chiunque: docenti e studenti.