Que Viva la Messia!

della Misantropa
Illustrazione di Pat Carra

E accadde dunque che alcune femministe, pervenute nel corso di una lunga e svariata pratica di rapporti fra donne – (v. alle voci alleanza inimicizia prevaricazione seduzione scomunica vassallaggio etc.) e giunte a quell’età veneranda e disinibita che precede la canonizzazione, trovandosi a corto di seguaci e ammiratrici ormai mietute dall’inclemenza del tempo, decisero di uscire dalle catacombe dei vecchi femminismi per dare aria alle insegne ormai polverose del potere e volgere attorno lo sguardo in cerca di nuove opportunità e, chissà mai, poltrone e prebende.
E così facendo si accorsero che in quel tempo sedeva sullo scranno del governo una femmina di gialla capigliatura e romaneschi accenti, che non le mandava a dire a nessuno ma le diceva di persona, disinvoltamente or queste or quelle a seconda dell’ora politica, e perdipiù in tailleur. Confuse e beatificate da questa apparizione, compresero di trovarsi finalmente al cospetto della promessa Messia Femminista, colei che sapeva Farsi Valere e, senza ingombro di femminee timidezze e anacronistici scrupoli, brandire lo scettro del Potere con la stessa nonchalance di un maschio che afferri i virili attributi di sua pertinenza e se li trastulli.
E se in un passato ormai remoto v’era stata tra quelle femministe di storica smemoratezza qualcuna che aveva sussurrato di rifiuto del potere e imprevisti futuri e non avere dei diritti, costei era ormai scesa nell’oscuro regno di Persefone insieme alle mistiche le filosofe le pensatrici e consimili anime imbelli, e ormai nessuna più ne udiva la flebile voce. Talché tutte si levarono – benché ciascuna per conto proprio per non confondersi col gregge – e innalzarono un osanna alla Messia, incarnazione dell’Ego Femmina e dispensatrice di ministeriali o anche soltanto consulenziali speranze.
Nacque così quello che fu in seguito definito femminismo della senescenza, non solo per l’età canonica delle sue fondatrici ma perché senescente era, in realtà, l’epoca tutta in cui questo avveniva: vecchie, infatti, e quasi morte erano le aspettative di decorosa vita civile, di lavoro adeguatamente retribuito, di intelligente conversazione nonché della stessa sopravvivenza alle calure, alle tempeste, alle guerre e alle spudoratezze dei personaggi social-politici.
E fu questo femminismo a fondare il culto della Messia, basato sui di lei divini attributi: ella era infatti Femmina provvista di ascendenti, discendenti e perfino collaterali femmine, possedeva capelli con l’onda e temperamento possente, simile a montagna di gomma elastica contro cui ogni logica rimbalza, in una parola ella aveva finalmente reso Femmina il Potere, il Successo e la Faccia Tosta.
Difensora delle donne, la Messia prendeva nelle sue mani il femminil ruolo procreativo, tantoché ai suoi altari si recavano femmine non ancora benedette da progenie per invocare figli e assegni legittimi, mentre gli uomini, come conviene, si davano a baccanali virili, talvolta illeggiadriti da parate belliche in squadre.
E se la Messia stessa prendeva le distanze dalle divulgatrici del suo culto e da tutto ciò che avrebbe potuto renderla grammaticalmente femmina, facendosi chiamare Mio Signore dai suoi devoti, esse, le femministe della senescenza, vedevano in ciò null’altro che un simpatico artifizio divino per mettere alla prova la loro fedeltà e render loro maggiore ricompensa nella prossima vita. E ancor più alto levavano il loro osanna.

 

*da Witches’ Almanack di Djuna Barnum

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