di Carlo Tecce
Il Fatto Quotidiano | 15 marzo 2019
Col permesso dei tedeschi di Bayer, ripetiamo in coro: aspirina, aspirina, aspirina. Adesso è un atto di coraggio e ribellione, che rasenta la sovversione, usare in maniera impropria la parola aspirina. Perché la multinazionale farmaceutica che produce la pillolina, vezzeggiativo autorizzato, e fattura 40 miliardi di euro, ha imposto la chiusura di Aspirina, con la maiuscola, rivista satirica, femminista, politica, fondata oltre trent’anni fa col supporto della Libreria delle donne di Milano. Un marchio registrato nel 1995 all’ufficio brevetti, settore per l’editoria, del ministero per lo Sviluppo economico.
Pat Carra e colleghe, dal 1987, pubblicano su carta e poi sul sito la rivista farcita di racconti, fumetti, disegni e la frizzante testata con la pillolina, rotonda, fragile, simpatica. Il nome fu un’intuizione di Bibi Tomasi, poetessa e scrittrice, che leniva i fastidi cervicali con la miracolosa aspirina.
Un giorno di novembre del 2017, racconta con stupore Carra, Bayer Intellectual Property spedisce una diffida agli avvocati che custodiscono il marchio di “Aspirina la rivista”: l’aspirina è nostra, non vi azzardate a chiamarvi ancora così. Guai a confondere i consumatori di Bayer, peraltro già febbricitanti o perlomeno doloranti.
Bayer non ha pretese eccessive: intima soltanto di cancellare l’identità, il dominio della rivista, ritirare la collana di libri, cestinare più di un quarto di secolo di archivio, non citare mai, mai più, il farmaco acetilsalicilico con funzioni antinfiammatorie, antiaggreganti, analgesiche, composto di una polvere cristallina incolore. Quella roba lì, insomma, ormai innominabile.
Un momento, pensano le redattrici di Aspirina la rivista: cari amici di Bayer, tanto educati e gentili, noi siamo in regola, non vi abbiamo né diffamati né danneggiati, non ci chiniamo inermi ai vostri ordini per una lettera. Parte la trattativa legale con valori in gioco un po’ diversi: la rivista che va avanti con passione e volontari, la multinazionale tedesca che s’appresta a inglobare l’americana Monsanto, agrochimica, per 66 miliardi di dollari. Bayer non ha intenzione di trascinare la faccenda in tribunale per questioni di immagine, poi i consumatori davvero si turbano. E la Libreria delle donne non ha denaro da buttare per un contenzioso decennale.
I tedeschi non recedono: non cambiano di un punto la posologia, pardon le richieste, ma propongono un risarcimento economico per comprare, con un colpo solo, pure il silenzio. Carra e colleghi, lo scorso febbraio, rinunciano ai soldi di Bayer, accettano di cancellare se stessi, cedono dominio e testata, ma conservano il diritto, la libertà di raccontare la storia: “Siamo fortunate. Abbiamo un nemico così strapotente che non potrà mai batterci sul nostro terreno. Quello della misura umana”.
Allora cos’è l’ultimo affare di Bayer? Monsanto, i pesticidi, i diserbanti, i semi artificiali. Perfetto. Addio Aspirina, nasce il blog Erbacce, forme di vita resistente ai diserbanti. E l’archivio dell’antica rivista? Viene protetto da un nuovo indirizzo per depistare i segugi di Germania, un altro sberleffo a Bayer. “La meglio aspirina se ne va. Mille erbacce fioriscano!”, chiosa Carra.
È finita bene. Una lotta impari con un discreto risultato. Per banalizzare, senza temere confronti con Bayer, si potrebbe richiamare la vicenda di Davide e Golia. Non è opportuno. Perché golia è pur sempre una caramella.
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