di Robin Morgan
Traduzione di Margherita Giacobino
Vignetta di Liza Donnelly
Trump e il trumpismo sono stati il risultato di anni, se non decenni, di preparazione.
Il maccartismo negli anni Cinquanta. Ronald Reagan, con la sua affabilità, il sorriso da star del cinema di serie B, la politica della linea dura. Newt Gingrich e il suo disgusto perché i due grandi partiti si trattavano con troppa educazione; avrebbe dovuto esserci una partigianeria pura e dura senza spazio per la mediazione e il compromesso. È innegabile che il trumpismo esiste da un bel po’, sicuramente dal debutto del Tea Party, seguito da Sarah Palin (che, non dimentichiamolo, è stata sostenuta da tutti quei repubblicani che ora fanno parte del Lincoln Project*, forse per penitenza). Per quanto andiamo indietro nel tempo, troviamo sempre un filone di autoritarismo, perfino di fascismo, mascherato da populismo americano.
È stato immancabilmente sessista, razzista, anti-immigrazione, anti-lesbigay, e molto riluttante a condividere qualsiasi forma di successo con la gente comune, e ha sempre scelto invece di concentrare la ricchezza e di limitare i privilegi a se stesso. I bersagli saranno anche cambiati:
la gente dimentica che a un certo punto il nemico erano “i luridi irlandesi”, o “gli sporchi cafoni italiani”, o “i disgustosi clandestini messicani” o “i malvagi orientali”, e costantemente (e qui gli epiteti sono troppi per elencarli) “i neri” e “gli ebrei”. Il discorso verte di solito sui posti di lavoro rubati ai maschi bianchi non istruiti e di classe operaia, si mescola invariabilmente a fattori di identità e religione, e alla radice ha sempre la paura del cambiamento.
Sotto questi aspetti, la recente ondata non è stata diversa. Ciò che è particolarmente interessante in questa specifica varietà, tuttavia, è il fattore autocommiserazione che lo caratterizza, molto evidente nei tweet, nelle dichiarazioni e nella visione del mondo di Trump, che dà voce alle lamentele della base a cui si rivolge. Ma anche di qui ci siamo già passati.
Nella Repubblica democratica di Weimar, negli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale, i tedeschi avevano un nome per questo: Dolchstosslegende, ovvero il mito della pugnalata alla schiena. Era un elemento chiave della propaganda portata avanti dai generali tedeschi dopo la prima guerra mondiale. Secondo questa narrazione assolutamente falsa – di cui si impadronirono gli estremisti di destra, Hitler compreso – l’esercito del Kaiser non aveva perso la Grande Guerra sul campo di battaglia; anche se nell’autunno del 1918 si stava ritirando, l’esercito avrebbe potuto continuare a combattere, ma fu svenduto da politici disfattisti che decisero per un armistizio. Si trattava di una sfacciata menzogna, com’era ovvio: la situazione strategica era disastrosa, gli eserciti tedeschi allo sbando e la popolazione civile ormai quasi alla fame e più che pronta ad arrendersi. Tutti lo sapevano, ma il mito della pugnalata alla schiena non doveva essere comprensibile, doveva essere accettato. Rinfocolava l’orgoglio umiliato della nazione e faceva leva sui suoi peggiori pregiudizi. (Tra parentesi, ogni volta che un segmento della società ha davvero qualcosa di cui lamentarsi e riesce finalmente a dirlo forte, viene liquidato con esasperazione perché “fa la vittima”).
La propaganda di massa sa bene che il suo pubblico è sempre pronto a credere alla menzogna estrema, anche se assurda e ridicola; anzi, più ridicola e più grande è la menzogna, meglio è, come scriveva Hitler e come ha detto Josef Goebbels:
Nella grande menzogna c’è sempre una certa forza di credibilità; perché le grandi masse di una nazione sono sempre più facilmente corrotte negli strati più profondi della loro natura emotiva che non consapevolmente o volontariamente; e così nella primitiva semplicità della loro mente cadono più facilmente vittime della grande menzogna che non della piccola menzogna, poiché loro stessi spesso raccontano piccole menzogne su piccole questioni, ma si vergognerebbero di ricorrere a falsità su larga scala. Non gli passerebbe mai per la testa di fabbricare colossali menzogne, e non crederebbero che altri possano avere l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame. Anche se i fatti che lo dimostrano possono essere esibiti chiaramente davanti a loro, continueranno a dubitare, a vacillare e a pensare che ci possa essere qualche altra spiegazione. – Adolph Hitler, Mein Kampf, Vol. 1, Capitolo X
Se dici una bugia abbastanza grossa e continui a ripeterla, la gente alla fine arriverà a crederci. La menzogna può essere sostenuta solo finché lo stato può proteggere il popolo dalle conseguenze politiche, economiche e/o militari della menzogna stessa. Diventa così di vitale importanza per lo Stato usare tutti i suoi poteri per reprimere il dissenso, perché la verità è il nemico mortale della menzogna, e quindi, per estensione, la verità è il più grande nemico dello stato. – Josef Goebbels
Ricordate il detto che una bugia può fare il giro del mondo nel tempo che la verità impiega a mettersi gli stivali? Nell’era di Internet, poi? Wow. Ma non basta: la Dolchstosslegende ha funzionato perché molti tedeschi sapevano in cuor loro – “negli strati più profondi della loro natura emotiva” – che non era vera, ma condividevano l’obiettivo, inammissibile in pubblico, di rovesciare la democrazia sostenendo che la Repubblica di Weimar era fondata sul tradimento.
Questa mezza consapevolezza è cruciale: significa che la propaganda era più di una semplice menzogna. Era un’arma politica intenzionalmente brandita, e l’obiettivo era la democrazia stessa.
Se vogliamo esaminare i facilitatori, quella lunga fila di persone che hanno difeso o collaborato apertamente con Trump, io tendo a dividerli in quattro categorie. Ci sono i Mitch McConnell e i Lindsey Graham, che sanno esattamente cosa sta succedendo, ma sono dei politici assolutamente amorali e cinici che farebbero di tutto per ottenere e mantenere il potere. Poi ci sono le persone che, per paura, opportunismo o confusione vanno alla deriva, per esempio quelli che sono passati dall’aver votato per Obama a votare per Trump, un atto che trovo stupefacente. In terzo luogo, c’è il grosso dei trumpisti, i quali, che lo ammettano apertamente o no (di solito no), condividono le sue odiose convinzioni e posizioni. E infine il nocciolo duro del nocciolo duro, quasi una setta: le persone per cui lui, letteralmente, non può fare niente di sbagliato.
Contro il primo gruppo bisogna organizzarsi e liberarsene col voto. Per il quarto si deve aspettare il cambiamento demografico e generazionale. A rischio di sembrare donchisciottesca credo che con il secondo e anche in qualche misura con il terzo gruppo si possa stabilire un collegamento ed “educarli”. Mi dispiace se suona condiscendente, ma mi baso su nuove ricerche che dimostrano che un gran numero di quelli che rispondono affermativamente alla domanda se l’elezione è stata truccata, quando si approfondisce risulta che la pensano così non tanto per convinzione quanto perché in quel momento desiderano convincersi che è così. E questo dove ci porta?
Suppongo che Trump, che ha già detto a chiare lettere che non ammetterà mai la validità delle elezioni, allo stesso tempo farà una capriola e, il giorno dell’insediamento del presidente eletto Joe Biden e della vicepresidente eletta Kamala Harris, annuncerà la sua candidatura nel 2024 per riconquistare la presidenza, cercando così di rubare la scena e l’attenzione della stampa come al solito. Sappiamo che da quando i maggiori finanziatori lo hanno abbandonato, ha lanciato una massiccia raccolta di fondi per convincere la base a comprare i suoi tweet all’olio di serpente e mandargli i soldini per avere denaro in abbondanza per le spese legali e anche per una piattaforma politica da cui esercitare il suo potere. Dal giorno delle elezioni, ha raccolto oltre 208 milioni di dollari (e ne arrivano ancora). Sappiamo che spera di costruire quel potere nei prossimi mesi e anni e, anche quando i media si stuferanno di parlare di lui, cercherà comunque di monopolizzarne una grossa fetta, se non con FoxNews, da qualche altra parte.
Ma c’è qualcosa che potremmo fare che sicuramente limiterebbe i suoi progetti futuri, e i progetti di coloro che l’hanno sostenuto e hanno collaborato con lui. Potremmo esercitare un’enorme pressione pubblica perché sia accusato, perseguito e, si spera, condannato per il suo comportamento criminale.
Comprendo la posizione di Biden che non intende perseguire Trump una volta che Trump avrà lasciato il suo incarico. Sarebbe controproducente: infiammerebbe la sua base, giocherebbe a favore del suo mito della pugnalata alla schiena, sembrerebbe un gesto di parte, vendicativo. Penso che sia una decisione saggia, perché lascia il Dipartimento di Giustizia indipendente dalla Casa Bianca – libero di perseguire o meno – come dovrebbe essere ed era fino a quando Trump non ha deciso di rivendicarlo come suo studio legale personale. Se poi Trump conceda la grazia a se stesso – se possa o farlo no – è una questione di cui si devono occupare gli avvocati costituzionali. Ma questo almeno lo sappiamo: anche se è in grado di graziare se stesso, o sistemi le cose in modo che lo faccia Pence, tale grazia non ha il potere di fermare le accuse dello Stato, come quelle che si stanno formulando ora a New York. Queste vanno dai crimini finanziari e dalle violazioni delle leggi elettorali alla corruzione pubblica, alla coercizione di parte, fino all’aperta ostruzione della giustizia. (Alcuni di questi crimini risalgono a prima del suo mandato alla Casa Bianca, ma non è scritto da nessuna parte che vincere un’elezione federale metta un candidato al riparo dalle conseguenze di crimini precedenti).
Dobbiamo considerare il fattore vendetta. E’ veramente difficile mettere da parte la consapevolezza che se quelle forze dovessero mai tornare al potere, non si lasceranno frenare dai vincoli morali posti alla vendetta. Ma ho pensato a lungo e intensamente per tenere il fattore vendetta fuori da tutto questo. Ho anche pensato a lungo e intensamente ai pericoli di una nostra trasformazione proprio in quel tipo di stato autocratico che Trump voleva/vuole che diventiamo, in cui le forze dell’ordine diventano armi politiche del partito regnante. Non possiamo permettere che questo accada. Tuttavia, credo che dobbiamo attuare urgenti riforme giuridiche e politiche sistemiche, perché è proprio la loro mancanza (per esempio, dare per scontato che segua “norme” di comportamento volontario, come rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi e le cartelle cliniche) che ha permesso a Trump di farla franca e scatenarsi senza essere fermato.
Ma la verità è che la sconfitta elettorale non è una compensazione sufficiente: la grazia preventiva concessa da Ford a Nixon è stata controversa, e da molti considerata scandalosa. Il fatto che Nixon si sia dimesso in disgrazia – ammettendosi colpevole – è una sottigliezza sfuggita alla maggior parte degli americani, che lo hanno semplicemente visto ritirarsi a vita agiata. E hanno imparato la lezione.
Quale lezione impareranno questa volta i neonazisti, i Proud Boys, il KKK? Cosa impareranno i fratelli Koch? Cosa si porteranno a casa i tirapiedi di Trump: Giuliani, Roger Stone, Michael Flynn, Steve Bannon, Stephen Miller, Bill Barr? E McConnell e i suoi obbedienti senatori?
Il graduale indebolimento delle norme e delle istituzioni democratiche, che può rivelarsi fatale per la democrazia, è un processo lento, avviene poco per volta. Quando un partito viola le norme su cui contiamo per garantire un pacifico trasferimento di potere – il nucleo della democrazia – questo mina la fiducia nel nostro processo elettorale e dice ai suoi sostenitori che l’altro partito non potrà mai conquistare legittimamente il potere.
Secondo recenti sondaggi ben il 70 per cento dei repubblicani ora sostiene di non credere che le elezioni siano state corrette, anche se è importante ricordare due cose: i membri del partito repubblicano sono stati fortemente logorati, quindi tanto per cominciare sono molti di meno; e in secondo luogo, come risulta dalla ricerca già citata, si tratta di un pensiero/sentimento velleitario e temporaneo. Ma è irrilevante se quelli che rimangono la pensino davvero a questo modo oppure no, dal momento che sostenere a gran voce ciò che non è fattuale è di per sé un rito di passaggio in molti gruppi estremisti, e il partito repubblicano sta decisamente imboccando quella strada. Basta guardare alla storia.
Se Ford non avesse graziato Nixon, oggi non ci troveremmo in questa situazione. Se Ford non avesse graziato Nixon, un esempio, per quanto doloroso, sarebbe stato dato: il presidente non è al di sopra della legge.
I Fondatori di questo paese lo sapevano. Ci credevano. Lo avrebbero riconosciuto e compreso. Pensate a loro, a quali sarebbero state le loro reazioni oggi, a lasciare impunito Trump. Sarebbero inorriditi. Hanno strutturato la nostra Repubblica proprio per evitare questa situazione.
Non possiamo permettere che questo si ripeta. Non per partigianeria né per vendetta. Per semplice giustizia. Semplice, perché la responsabilità è richiesta. Semplice, perché lasciare impunito un presidente perché è presidente è ancora più assurdo: proprio perché è presidente dovrebbe essere ritenuto ancora più responsabile. Queste accuse e questa condanna farebbero arrabbiare alcune persone, sì. È inutile fingere il contrario. Ma quando impareremo che la minaccia, e la paura della minaccia, è sempre più grande della realtà?
Questo non risolve le questioni che ronzano come mosche intorno al mucchio di letame del fascismo, né entra nel merito del pensiero fascista, anche se sospettiamo piuttosto fortemente che lo stato autoritario abbia le sue radici nella famiglia autoritaria, e che entrambi siano patriarcali. Ma ci fa capire perché tutti i “buoni tedeschi” erano quel che erano, perché erano quelli che non sapevano.
Non mi scuserò più per il paragone con il partito nazista tedesco. Non possiamo aspettare che le cose qui arrivino a quel punto. Senza una qualche commissione per la verità e la riconciliazione, o perlomeno senza che i procuratori generali dello stato di New York e di altri stati perseguano Trump secondo la legge, questi ultimi quattro anni finiranno per ripetersi – e in un futuro non così lontano.
Ancora più cruciale è questa realtà amaramente tautologica: se Trump non viene ritenuto responsabile dei crimini presunti e persino di quelli ammessi, allora è stato davvero al di sopra della legge, letteralmente. E di questo, io e voi saremo ritenuti responsabili.
*Lincoln Project: comitato di repubblicani dissidenti, che hanno votato per Biden.
(Il testo è uscito il 7 dicembre 2020 sul blog di Robin Morgan)