Dall’acido acetil-satirico all’ipericum-satira: DeriveApprodi pubblica “Bayer contro Aspirina. L’umorismo che resiste ai diserbanti”
di Santa Spanò
La Bottega dei Barbieri | 1 marzo 2020
Si avvicina l’8 marzo, la festa della donna si dice, è un po’ più complesso di così, visto che la parola festa nel significato suo proprio è “gioia” e l’8 marzo è qualcosa di diverso, oltretutto si sta trasformando in una lacerante commemorazione. Fateci caso, la sensazione è di trovarsi in zona fringe, zona di confine tra due mondi paralleli, il presente e il passato. La spinta invisibile e subdola che oggi le donne sembrano non percepire è verso il passato, ma tornare indietro significherebbe perdere tutto. L’alternativa: restare ben salde mantenendo la posizione (rischiando però di soccombere) o – esiste anche un’altra possibilità – con una manovra strategica abbandonare la linea difensiva e spostare l’azione su un terreno più agevole allontanandosi dalla frontiera per dare inizio a qualcosa di nuovo. Perché quello che conta è l’obiettivo: e l’obiettivo per le donne è mantenere diritti e libertà.
Se queste parole possono risultarvi oscure, quello che è accaduto a queste donne Loretta Borrelli, Piera Bosotti, Pat Carra, Anna Ciammitti, Manuela De Falco, Margherita Giacobino, Elena Leoni, Livia Lepetit e Laura Marzi è al contrario molto chiaro. È una vicenda che le ha coinvolte in prima persona, che ha a che fare in verità non con il sessismo, ma con la libertà e per la giornata dell’8 marzo merita di essere raccontata, se non altro perché ancora una volta mette in luce uno dei punti di forza delle donne: la pazienza.
Ma chi sono queste donne? Non hanno partecipato al Grande fratello, né all’Isola dei famosi, non sono state ospiti della D’Urso e né tanto meno alla Repubblica delle donne, non sono influencer e non hanno dato il meglio del meglio al Jersey Shore, non sono neanche state ammazzate.
Queste donne, danno voce dal 1987 all’universo femminile, senza il vuoto spettacolare di una comparsata, ma con la volontà di fare, dire e perché no, anche ridere e irridere, non sul nulla, ma su contenuti; non sulla mortificazione dell’intelletto, ma sul pensare, osservare, criticare, denunciare; non anestetizzando lettrici e lettori, ma sollecitandoli a guardare in faccia la realtà. Come lo fanno? Mi correggo: come lo facevano? Semplicemente con l’Aspirina! Non l’acido acetilsalicilico: lo so, lo so che state tutti pensando ai mal di testa delle donne, ai dolori mestruali – beh queste donne, sicuramente come tante, di dolori ne avranno – ma la loro risposta è stata una «Aspirina la rivista». Ai mali, alle fitte, alle sofferenze, agli spasmi che non solo il corpo, ma soprattutto la vita ci riserva, queste donne, hanno ribattuto con l’acido acetilsatirico.
Loro sono le donne della redazione di Aspirina, rivista umoristica e femminista, senza controindicazioni, senza consigli su dosaggio e somministrazione: per 30 anni nelle sue pagine sono state accolte artiste, giornaliste, donne impegnate in prima linea, con un linguaggio immediato, fra vignette e racconti, a ribadire il legame che esiste fra corpo e natura, a riflettere e denunciare i mali del capitalismo, lo sfruttamento delle donne e della terra.
Loro – ecofemministe ed ecoumoriste – avevano scelto il nome Aspirina. “Nella nostra testata” – scrivono – “nella grafica e nei testi abbiamo sempre giocato con la pillola, che nelle nostre mani diventava un’amata creaturina. Non a caso la scelta del nome Aspirina nasce nel 1987 dalla dichiarazione d’amore della poeta e scrittrice Bibi Tomasi, che soffriva di dolori cervicali da macchina da scrivere. Il nostro rapporto con Aspirina non è mai stato strumentale e a fini di lucro, era la declinazione artistica di un nome femminile con diminutivo, e di una simbolo tondo come una piccola luna. Procedevamo con lei su web e carta, in espansione naturale e benefica, con riflessioni mumblemumble e risate liberatorie”.
Tutto questo fino al 2017, anno della grande apparizione, quando nostra signora si rivela ad Aspirina. Il fenomeno non ha nulla di mistico vi assicuro, non ci troviamo né a Fatima, né a Lourdes: le proporzioni, quelle si, possono essere simili, la grandezza dell’una e la piccolezza dell’altra, pensate un po’ allo sbalordimento, stando ai racconti, di piccole e genuine bambine che avrebbero visto una grande signora vestita di bianco scendere dal cielo. C’è da restarci secchi, ma i bambini hanno un cuore forte.
Anche la redazione di Aspirina ha avuto un cuore saldo quando nostra signora è apparsa, di sicuro con qualche extrasistole, ma piuttosto robusto a reggere una tale visione. Ad apparire la grande madre di tutte le aspirine: la Bayer.
Senza effetti speciali, ovviamente più adeguata ai tempi, con una semplice e spietata diffida passiva di Bayer Intellectual Property GMBH che contestava alle “aspirine” di usare il nome Aspirina, nome “che era di loro esclusiva proprietà da immemorabili millenni e che doveva essere abbandonato al più presto, rinunciando alla registrazione e al dominio www.aspirinalarivista.it”.Lo so, vi aspettavate un’affermazione incondizionata di “amore materno”, magari accompagnata da straordinarie rivelazioni o eventi prodigiosi, la realtà è più misera e ovvia. Qualche mistero ovviamente c’è in questa storia di ordinaria (il)legalità.
La Bayer si accorge solo dopo 22 anni che Aspirina la rivista generava confusione, fin dal lontano 1995 quando la Libreria delle donne di Milano, editrice della rivista, aveva registrato il marchio Aspirina per l’editoria presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi del Ministero dello Sviluppo economico, marchio rinnovato fino al 2025. Chi non farebbe confusione trovandosi di fronte una rivista e un blister di compresse e ancora chi aprendo Aspirina la rivista non si confonderebbe con un notiziario chimico farmaceutico. La Bayer pare di sì, visto che con la sua azione ha anche chiaramente espresso che l’Aspirina è sua!
La scelta per la redazione: raggelare davanti a cotanta imponenza e scappare a gambe levate o estinguersi in un mare di scartoffie e processi, oltre che soldoni, o la terza scelta. Ritorniamo alla zona fringe e al dilemma del che fare. Loro scelgono di rinascere, di non arretrare, di non soccombere, ma con pazienza (sempre la grande pazienza delle donne) di salvare il lavoro e ricominciare.
DeriveApprodi (www.deriveapprodi.com) – casa editrice con oltre 550 pubblicazioni che raccolgono “le tracce e le testimonianze di questo (nostro) presente tumultuoso e discontinuo” – pubblica a gennaio 2020 nella collana Fuorifuoco Bayer contro Aspirina – L’umorismo che resiste ai diserbanti, a cura della redazione di Erbacce.
Leggere «Bayer contro Aspirina» è un po’ un atto dovuto, al loro coraggio e alla loro resilienza, non pensatelo come il deposito di una memoria difensiva, è un pamphlet. Fra le sue pagine lo spirito della redazione di “fu Aspirina” resiste immutato.
Lucido nel chiedersi come mai la Bayer proprio in concomitanza con la fusione Monsanto (per chi non lo sapesse la Bayer ha acquisito la Monsanto per 66 miliardi di dollari, dando vita al più grande gruppo mondiale nel campo delle sementi e dei fertilizzanti agricoli) decida che aspirina la rivista è di troppo, come nell’intervista alla giornalista investigativa tedesca Gaby Weber che spiega quale rischio rappresenta per la Bayer l’esistenza di questa rivista. “La satira” – risponde la Weber – “ha acquistato sempre maggiore importanza da quando il giornalismo (critico) è andato sempre più a rotoli.”… E non vi dico di più, bisogna leggerlo.
Bayer contro Aspirina è anche irriverente, lo è nelle strisce della super Wonder Rina, della Bracciante digitale, nelle illustrazioni di Pat, per citarne qualcuna; è impegnato nello schierarsi dalla parte della terra a difesa della biodiversità, dei piccoli agricoltori, contro l’avvelenamento chimico, a difesa del clima; sentimentale nel ripercorrere la storia di Aspirina, che ha vantato collaborazioni di autrici del talento e della forza di Claire Bretecher e tesse a tratti una narrazione quasi intimista e confidenziale che lascia la sensazione di essere stati lì, lì con loro, con tutti i sali e scendi di una vita piena di cose da dire e fare, di persone incontrate, vissute, mangiate, di battaglie, denunce, abbandoni, conflitti e intese, rabbie e ironiche risate.
Pagine che raccontano di uno “scontro” che ha dell’assurdo, mantenendo intatta la vocazione satirica e creativa delle autrici che sanno guardare ancora avanti e presentano la loro metamorfosi.
Erbacce. Forme di vita resistenti ai diserbanti (www.erbacce.org) è infatti il loro nuovo progetto ecoumorista. Dalle ceneri di Aspirina, dopo la dichiarazione di proprietà della Bayer, ispirate da “una frase di Vandana Shiva: L’estinzione è l’unica modalità con cui il patriarcato affronta le cose vive e libere”, hanno chiamato a raccolta autrici e autori per presentare la loro “nuova testata vegetale disegnata da Teresa Sdralevich”.
Il nuovo sito Erbacce “contiene l’archivio di Aspirina 1987-2018, la rassegna e i comunicati stampa, i nuovi articoli. I temi ricorrenti sono la fusione Bayer/Monsanto, il crollo delle azioni di Bayer, il cambiamento climatico e naturalmente gli altri temi cari ad Aspirina, dal lavoro all’amore, dalla sessualità alla eco-sessualità.”
Forse anche loro si saranno dette: Senza Aspirina non ci resta che tornare alle erbe, anzi alle Erbacce.
Come ha fatto la medicina negli ultimi tempi, anche le nostre aspirine hanno capito che è meglio lasciare andare i farmaci e tornare a quelle erbe che erano prerogativa delle guaritrici, di quelle donne che l’ignoranza buia dei secoli passati (passati?) considerò streghe. La loro conoscenza di raccoglitrici, erboriste, il loro legame con la natura, il sapere, i segreti, tramandati da donna a donna, che un tempo curava e guariva il corpo, oggi ritorna incontenibile anche con le Erbacce per curare lo spirito di questi tempi non proprio luminosi. Dall’acido acetilsatirico all’ipericumsatira, dall’aspirina alle erbe selvatiche e se l’iperico è l’erbaccia del buonumore, possiamo ora contare su un’infinità di Erbacce altrettanto portentose.
Erbe come nel passato? No, no, più più assai, direbbe un venditore di almanacchi. Erbacce nuove per il sapere, erbacce per ridere, erbacce per pensare…
Perché dovete sapere, loro (le nostre redattrici) lo sanno di sicuro visto il legame stretto con la terra, che finalmente si è capito che le erbacce, quelle che conosciamo come erbe infestanti, non sono assolutamente cattive, oltre ad essere salutari, sono alleate preziose per conoscere il terreno, la sua storia e sapere come lavorarlo, sono erbe spontanee, niente di artificioso. L’hanno capito adesso in agricoltura che non servono poi così tanto i laboratori, basta osservare le erbacce per sapere addirittura se il suolo è avvelenato dal glifosato, un erbicida letale ora in mano alla Bayer che ha si riavuto la sua aspirina, ma ti ci voglio a distruggere la malerba, le Erbacce sono dure a morire.
Quest’anno per l’8 marzo regalate fasci di Erbacce, resistono anche ai diserbanti. Loro siamo anche noi!
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