di Redacta
Vignette di Pat Carra
L’articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2022 sul sito di Acta Associazione dei freelance www.actainrete.it
Il Governo ha abolito di fatto gli stage extracurriculari. Restano quelli curriculari, un caposaldo dello sfruttamento nell’industria editoriale
Senza clamore, con un emendamento presentato dal Ministero del Lavoro nella Legge di bilancio, si prepara nei prossimi mesi una drastica riduzione dei tirocini extracurriculari. Salvo sorprese dalla Conferenza Stato-Regioni, che dovrà stabilire le nuove linee guida in base alle indicazioni del Governo, da luglio 2022 i tirocini extracurriculari saranno riservati ai soggetti con difficoltà di inclusione sociale (detenuti ed ex detenuti, tossicodipendenti, disabili), che rappresentano appena il 3% dei 355.000 tirocini extracurriculari attivati nel 2019.
L’abuso di tirocini, entrati nel linguaggio corrente come stage, è un tema su cui Acta fa proposte da tempo. E negli ultimi due anni e mezzo noi di Redacta abbiamo cercato di capire più nel dettaglio cosa succede nell’industria culturale, in particolare nel settore editoriale, dove i tirocini sono una parte del paesaggio: un dato di fatto, stabile, ricorrente, dotato di valore (per le imprese). Una vera e propria istituzione. Più che una reale opportunità formativa, gli stage sono diventati nella pratica uno strumento improprio per comprimere le retribuzioni, insegnare ai più giovani il valore dello sgobbo, anche gratuito, puntellare i bilanci di imprese capaci di stare in piedi solo grazie a uno sfruttamento grottesco.
Dunque una drastica riduzione dei tirocini extracurriculari a noi sembra una buona notizia, nonostante alcuni critici abbiano parlato di un “effetto confusione”. Il vero limite di questo provvedimento, tuttavia, sta nel non essere intervenuti sugli stage curriculari.
Questi sono rivolti “ai giovani frequentanti un percorso di istruzione o formazione” e sono disciplinati solo “dai Regolamenti di istituto o di ateneo”.
Quanto vengono pagati? Tendenzialmente zero, salvo imprevisti slanci di generosità del “datore di formazione”.
Quanto possono durare? Non c’è un limite di tempo (a parte la durata dell’iscrizione all’ente di formazione).
Quanto sono diffusi? Dato che non sono monitorati né a livello regionale né a livello nazionale è impossibile saperlo. La Repubblica degli Stagisti stima che, in totale, siano tra i 150.000 e i 200.000 ogni anno, ma non ci sono certezze. [Aggiornamento 25 gennaio 2022: C’è qualche speranza che aumenti la trasparenza dei tirocini curricolari, ne abbiamo parlato qui.]
Sembra ragionevole supporre che con l’abolizione di fatto degli extracurriculari, i tirocini curriculari diventeranno sempre più numerosi e rilevanti. Per avere un’idea di quello che potrebbe succedere è utile considerare l’uso che ne viene fatto oggi nell’editoria libraria, settore per il quale rappresentano il principale canale di accesso.
Per descrivere l’impatto di questi stage “sommersi a norma di legge” nell’organizzazione produttiva delle case editrici partiamo da un’eccezione a questa mancata trasparenza.
Gli editori sono sempre quelli
Guardiamo questa pagina del sito di Oblique, scuola romana che tiene corsi sulle più diverse mansioni editoriali.
Sotto una dichiarazione a suo modo sublime – “Gli allievi più meritevoli potranno continuare il processo di formazione presso case editrici, agenzie letterarie, librerie o presso Oblique” – inizia la nutrita lista di partner della scuola.
Fin qui niente di eccentrico, è prassi di tutta la miriade di corsi e master simili che ci sono in Italia.
Il bello viene dopo: un lunghissimo elenco che riporta i nomi e i cognomi di chi, dal 2006 a oggi, ha “continuato il processo di formazione” presso le diverse case editrici che collaborano con Oblique. Questo genere di informazione, per quanto ne sappiamo, non è mai presente nei siti di alcuna università, scuola o master, e non sembra un caso.
Anche a una lettura superficiale è possibile accorgersi che alcuni nomi di editori più o meno prestigiosi compaiono con una certa regolarità (Dino Audino, Sandro Teti, Voland, L’Orma, Fanucci ecc.). Ognuno di questi casi andrebbe analizzato separatamente, ma la visione d’insieme regalata dalla pagina di Oblique dà un’idea abbastanza precisa di un settore in cui la rotazione di stagiste e stagisti fa parte dell’organizzazione produttiva.
Forse il fatto che “Oblique si batte per un’editoria migliore, a responsabilità aumentata”, come recita il sito, ha qualcosa a che fare con questo sforzo di trasparenza. O magari esibire la quantità di lavoro gratuito e le scarse (data la ricorsività degli stage) opportunità di assunzione dei propri allievi fa parte di una bizzarra strategia promozionale.
Tutto a norma di legge?
Intendiamoci: finché c’è un’università (a cui sono legati molti master) o un ente di formazione accreditato a predisporre e attivare la convenzione, una qualsiasi impresa – anche con pochi dipendenti, come molte case editrici – potrebbe avviare cinque (o dieci, o quindici…) stage alla volta senza violare nessuna legge.
Tuttavia, durante le nostre ricerche per questo pezzo, ci sono stati segnalati alcuni “stage” attivati senza alcuna convezione sia a Milano che a Roma. Nei fatti, lavoro gratuito senza un inquadramento legale. L’intensificazione dello smart working ha di certo permesso di aggirare alcune complicazioni assicurative di queste “soluzioni creative”, dato che lo “stagista” non deve più andare fisicamente in redazione. Per capire quanto questo inquadramento spericolato sia davvero diffuso occorrono maggiori approfondimenti [se avete fatto uno stage dopo un corso di formazione senza compenso e “senza firmare niente” scriveteci].
Nel 2022 le scuole e i master di editoria sono così tanti da sfuggire al conteggio: alcuni sono organizzati proprio dalle case editrici, e per frequentarli è necessario pagare una cifra non indifferente (la maggior parte si colloca tra i 1.500 € per tre mesi di Oblique e i 10.000 € annui della Holden, parte del gruppo Feltrinelli).
Alla fine si ottiene la possibilità di entrare in elenchi simili a quello diffuso da Oblique, che però negli altri casi non sono pubblici. Se lo fossero (magari senza i nomi e cognomi dei corsisti) i potenziali studenti, vedendo sempre le solite aziende ruotare uno stagista dopo l’altro, potrebbero decidere di spendere meglio i propri soldi.
(Full disclosure: la maggior parte delle persone attive in Redacta ha frequentato un master in editoria e fatto almeno uno stage, mannaggia.)
Lavoro gratuito e malpagato come modello economico
Concentrare l’attenzione sugli enti formativi non deve farci perdere di vista il contesto sistemico: scuole che producono masse di stagisti e case editrici sono in una relazione indissolubile e, nel modello economico attuale, non esisterebbero le une senza le altre. Ogni anno centinaia di studenti e studentesse passano dalle prime alle seconde senza soluzione di continuità, andando a occupare nelle case editrici i posti dei colleghi dell’anno precedente e lasciando nelle aule i posti vuoti che saranno occupati dai colleghi dell’anno successivo.
Oltre al lavoro gratuito dal dubbio contenuto formativo, l’abuso di stage produce degli effetti negativi sia su chi lavora come dipendente sia su chi collabora con le redazioni: i primi sono impegnati nella formazione e nella gestione, spesso onerosa, di stagisti che dopo qualche mese se ne vanno, un supplizio di Sisifo; i secondi, i freelance, si trovano a svolgere un lavoro più intenso per coprire le mancanze di uno stagista inesperto o di un interno oberato, e inoltre, non esistendo compensi minimi, vedono le proprie tariffe “calmierate” da tale massa di lavoro gratuito. Ovviamente questa “concorrenza dello stagista” è più forte per i professionisti che svolgono le mansioni meno specializzate, o comunque per committenti che richiedono meno attenzione. Ma un reddito d’entrata nel mercato così basso, se non addirittura nullo, ha ripercussioni anche sulla remunerazione dei consulenti più specializzati.
In sintesi, inserendo stabilmente la figura dello stagista nell’organizzazione produttiva, le case editrici finiscono per assegnargli compiti impropri per uno studente in formazione, e questo ha conseguenze sulla qualità e la quantità di lavoro.
Facciamo un esempio? Il Saggiatore
Fra gli editori che compaiono nella pagina di Oblique ne troviamo uno familiare. Nel marzo 2021, proprio mentre evitava di rispondere pubblicamente e nel merito alla lettera di Redacta sul taglio delle collaborazioni esterne, il Saggiatore accoglieva ben tre stagisti da Oblique. Fino a quel momento, dal 2013 al 2019, ne aveva avuti in totale altri cinque (sempre uno alla volta, con l’eccezione di una sovrapposizione tra due stage nel febbraio-marzo 2014). Un aumento significativo concentrato in un breve periodo di tempo che può dipendere dalle motivazioni più svariate, su cui non possiamo avere certezze. Possiamo solo evidenziare la curiosa coincidenza.
Teniamo presente che il Saggiatore, come molti editori, ha rapporti consolidati e “stage ricorrenti” con diversi enti di formazione, comprese alcune università. Un paio di esempi: l’editore Luca Formenton è presidente della Fondazione Mondadori, che organizza annualmente un master in editoria che si conclude con uno stage. Allo stesso modo si conclude il Master in Editoria, Giornalismo e Management Culturale dell’Università La Sapienza di Roma (qui il Saggiatore compare, insieme a Einaudi, nella brochure), con cui la casa editrice collabora da tempo anche per la didattica. Se il numero di stage attivati con Oblique è aumentato (da uno a tre) è possibile che lo stesso sia avvenuto anche con altri enti di formazione.
Potremmo provare a chiedere ancora al Saggiatore quanti stagisti e stagiste aveva prima e dopo aver scritto la mail con cui comunicava il sostanziale azzeramento delle collaborazioni esterne. Ma questa era già una delle nostre domande, e dopo più di otto mesi è evidente che Luca Formenton, erede di Arnoldo Mondadori, preferisce tenersi l’informazione per sé.
Come dare il buon esempio
Al di là dei singoli casi, rimane comunque un dato di fatto: anche se la Conferenza Stato-Regioni ridurrà drasticamente gli stage extracurriculari, in un sistema di questo tipo non cambierà praticamente nulla. Per gli editori la pacchia non finirà; per chi lavora in editoria, d’altra parte, non è mai cominciata.
Sono infatti questi ultimi che subiscono, in primis, ripercussioni dall’abuso di stage da parte delle case editrici. Ci sembra naturale che siano proprio lavoratrici e lavoratori – dipendenti e freelance insieme – a dover prendere in mano la situazione, per iniziare a far cambiare le cose nelle aziende senza attendere emendamenti o linee guida calate dall’alto.
In quasi tre anni di vita, Redacta ha costruito una coalizione tra freelance – professionisti troppo spesso bollati come “antropologicamente individualisti” –, messo in pratica le potenzialità, ed evidenziato la necessità, di azioni collettive. Queste, per definizione, rappresentano il solo modo per andare oltre i limiti della propria condizione: ci pare incredibile che di fronte a questa e ad altre strategie adottate dagli editori per comprimere il costo del lavoro e aumentarne l’intensità, colleghi e amici dipendenti ben più garantiti di noi freelance continuino a esitare.
Il lavoro ci lega tutte e tutti, dentro e fuori dalle redazioni e lungo tutta la filiera, e un discorso serio sullo sfruttamento deve andare oltre gli inquadramenti contrattuali. Noi di Redacta abbiamo iniziato a parlarne in questi termini con il ciclo di incontri di Carta/Lotta, un percorso che ci ha portato fino all’assemblea del Collettivo di fabbrica della Gkn. In ciascun incontro – il primo dedicato al settore della logistica, il secondo a quello delle librerie – abbiamo raccontato la nostra situazione e condiviso le nostre esperienze ma, soprattutto, abbiamo imparato tanto da chi lavora in altri punti della filiera, da chi sciopera, occupa e si riunisce in associazioni o sotto sigle sindacali.
Prendere in mano il nostro destino non è una scelta scontata, ma è l’unica che ci permette di mantenere dignità e indipendenza. E di dare il buon esempio.